20 Marzo 2014
La Corte di Giustizia Europea, mediante la recentissima sentenza del 6 marzo 2014, n. C-458/12, si è pronunciata in merito alla legittimità dell’art. 2112 c.c., nella parte in cui, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 32 del d.lgs. 276/2003 (c.d. Riforma Biagi), ammette che il ramo d’azienda possa essere individuato dalle parti al momento del trasferimento.
Prima della riforma del 2003, infatti, il medesimo art. 2112 c.c. prevedeva che il ramo d’azienda, ai fini del trasferimento, dovesse essere preesistente, ritenendosi che tale requisito fosse reso necessario dalla normativa comunitaria (Direttiva 2001/23/CE), la quale stabilisce che il ramo d’azienda debba mantenere, nel trasferimento, la propria identità.
La Riforma Biagi, invece – come sopra anticipato – ha consentito alle parti del trasferimento d’azienda (e cioé il cedente ed il cessionario) di individuare il ramo d’azienda, di comune accordo, al momento del trasferimento.
Sulla base di tale novella legislativa, parte della giurisprudenza (Corte d’Appello di Roma, 27 marzo 2009) – valorizzando anche il testo della relazione parlamentare alla riforma Biagi – ha riconosciuto che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2112 c.c., è necessario (e sufficiente) che l’insieme di beni o delle posizioni lavorative cedute siano idonee presso il cedente, al momento della cessione, a svolgere una determinata attività economica, ancorché accessoria, proseguita o ripresa presso il cessionario, volta al raggiungimento di un obiettivo.
Di conseguenza, secondo tale filone giurisprudenziale, il ramo di azienda potrebbe anche non essere preesistente al trasferimento – ma creato ad hoc ai fini dello stesso – purché le entità economiche cedute siano concretamente idonee a svolgere una propria funzione autonoma presso il cessionario, per il conseguimento di un obiettivo apprezzabile.
Di contro, anche dopo la Riforma Biagi, la parte maggioritaria della giurisprudenza ha continuato a ritenere necessaria la preesistenza del ramo d’azienda, in quanto, altrimenti, la normativa italiana sarebbe risultata in contrasto con quella comunitaria.
Orbene, la Corte di Giustizia, con la sentenza in esame, è intervenuta proprio su tale aspetto, confermando la legittimità dell’art. 2112 c.c., nella parte in cui ammette il trasferimento dei dipendenti anche qualora il ramo di azienda “oggetto del trasferimento non costituisca un’entità (…) già preesistente al trasferimento”.
La Corte, infatti, ha rilevato che l’articolo 8 della direttiva 2001/23 fa espressamente salva “la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori”, quale è, appunto, una maggiore estensione della disciplina del trasferimento d’azienda.
Ed infatti, in caso di subentro di un nuovo imprenditore nella gestione di un determinato servizio (c.d. esternalizzazione), ove non si realizzi un trasferimento di ramo d’azienda, il datore di lavoro originario è legittimato a licenziare i dipendenti precedentemente addetti alle medesime attività, eventualmente mediante il ricorso ad una procedura di licenziamento collettivo.
La decisione della Corte di Giustizia, pertanto, appare orientata da un sano senso pratico, troppo spesso assente nelle pronunce dei giudici italiani!