21 Febbraio 2014
La Corte di Giustizia Europea, mediante la recentissima sentenza del 13 febbraio 2014, n. C-596/12, si è pronunciata in merito alla compatibilità della normativa italiana in materia di licenziamenti collettivi (l. 223/1991) con la disciplina comunitaria, rilevando che la stessa, non includendo nel suo campo di applicazione anche i dirigenti, è contraria alla Direttiva 98/59/CE.
In effetti, l’art. 4, comma 9, l. 223/1991 prevede che – all’esito della consultazione sindacale – il datore di lavoro abbia la facoltà di licenziare “gli impiegati, gli operai e i quadri eccedenti” e, sulla base di tale indicazione, è stato da sempre ritenuto che la procedura in questione non trovi applicazione anche nei confronti dei dirigenti, non contemplati dalla suddetta norma.
Tale interpretazione della normativa italiana è stata confermata anche dalla sentenza che si commenta, la quale, tuttavia, ne ha rilevato l’incompatibilità con il diritto comunitario.
Secondo la Corte, infatti, la citata Direttiva 98/59/CE – avente ad oggetto il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi – obbliga i datori di lavoro a consultarsi con i rappresentanti sindacali in tutte le ipotesi di riduzione del personale, salvo i casi espressamente esclusi dalla Direttiva stessa, tra i quali, tuttavia, non è menzionata la posizione dei dirigenti.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che gli Ospedali, i Presidi e le altre strutture che abbiano adottato i ccnl della dirigenza medica e non medica, dovranno applicare anche a tali categorie di lavoratori la complessa procedura di licenziamento collettivo prevista dagli artt. 4 e 24 l. 223/1991, qualora le stesse siano coinvolte nell’esubero.
Di conseguenza, anche nel caso estremo in cui ci si trovi nella necessità di ridurre solamente il personale dirigenziale, sarà comunque necessario svolgere la complessa procedura di esame congiunto prevista dalla l. 223/1991, che prevede, come noto, un serrato confronto sindacale in sede aziendale (per 45 giorni) e, poi, in sede amministrativa (per ulteriori 30 giorni).
Ed infatti, sebbene la sentenza della Corte di Giustizia non abbia modificato il diritto vigente, ma si sia limitata a condannare l’Italia a farlo, comunque, in caso di contenzioso, qualsiasi giudice potrebbe rilevare l’incompatibilità del diritto italiano con quello comunitario e, quindi, sollevare la questione di incostituzionalità alla competente Corte Costituzionale.
Nondimeno, la pronuncia della Corte di Giustizia non appare idonea a travolgere il differente regime sanzionatorio esistente per l’ipotesi del licenziamento illegittimo.
Di conseguenza, si ritiene che – anche in caso di licenziamento collettivo – rimarranno valide le norme contrattuali che escludono l’applicabilità della reintegra nei confronti dei dirigenti.