30 Ottobre 2018
Nonostante la più importante – almeno dal punto di vista giuslavoristico – sentenza dell’anno della Corte costituzionale sia stata solamente annunciata (Vedi precedente news) e non ancora pubblicata, si è già registrata la prima applicazione del possibile (?) panorama legislativo che diverrà vigente quando il giudizio di legittimità costituzionale troverà termine.
Infatti, contrariamente a quanto deciso da (quasi) tutti i tribunali d’Italia, che hanno sospeso i provvedimenti per cui era necessaria l’applicazione del “contratto a tutele crescenti”, il Tribunale di Bari con l’ordinanza n. 43328 dell’11 ottobre 2018 ha deciso su una controversia nella quale trovava applicazione il d.lgs. 23/15.
Si ricorda che, allo stato, la Corte costituzionale ha solamente pubblicato un comunicato stampa nel quale si è limitata ad affermare che «la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione» ma non ha ancora esposto le ragioni di tale decisione, né, tantomeno, i parametri alternativi cui commisurare l’indennità prevista per i licenziamenti illegittimi intimati ai lavoratori assunti successivamente al 7 marzo 2015.
Ciononostante, il giudice barese di primo grado – pur rimarcando la circostanza per cui le decisioni della Corte costituzionale acquistano efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione – ha ritenuto necessario effettuare un’interpretazione «costituzionalmente orientata dell’art. 3 co. 1 ancora … vigente» determinando la somma da corrispondere al lavoratore mediante l’applicazione dei criteri dell’art. 18 (anzianità del lavoratore, dimensioni dell’azienda, etc.) ai parametri indennitari del jobs act.
Con quest’interpretazione, un lavoratore assunto da poco più di un anno si è visto riconosciuta un’indennità risarcitoria di ben 12 mensilità.
Al di là degli evidenti profili di criticità dell’ordinanza (che ha deciso la questione basandosi su una norma insussistente, disapplicando invece quella che comunque rimane la norma vigente), la pronuncia in esame consente di avere una previsione di quelli che potrebbero essere gli effetti (verosimili) della norma dopo che la Corte costituzionale avrà effettivamente pubblicato la sentenza.
In altre parole, si prospetta il ritorno della discrezionalità del giudice, con la conseguente incertezza tipica dei processi per licenziamento che il legislatore (prima con la riforma “Fornero”, poi con il jobs act e ora con il “decreto dignità”) aveva tentato di eliminare una volta per tutte.