30 Giugno 2015
La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle norme che avevano introdotto (e successivamente prorogato) il blocco degli stipendi per i dipendenti della pubblica amministrazione, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale sopravvenuta” del predetto regime, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza.
Con d.l. 28/2010 (conv. in l. 122/10) era stato, infatti, previsto il blocco delle retribuzioni inizialmente in relazione al solo triennio 2011-2013, con la conseguenza che il trattamento economico complessivo dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche – che non poteva superare il trattamento in godimento nell’anno 2010 – doveva, pertanto, necessariamente rimanere quello previsto dalla contrattazione collettiva per il 2009.
Tale misura, successivamente prorogata di anno in anno, è stata portata al vaglio dei giudici della Consulta, in quanto proprio la prolungata e reiterata vigenza della stessa avrebbe leso diritti costituzionalmente tutelati dei lavoratori e del sindacato, al quale sarebbe stata preclusa per lungo tempo la possibilità di negoziare rinnovi contrattuali.
Sebbene non si conoscano ancora le motivazioni poste alla base della sentenza in commento, il laconico comunicato emesso dall’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale per annunciare la decisione assunta dalla Consulta lo scorso 24 giugno 2015 lascia pochi margini di interpretazione su quelli che saranno i suoi effetti nella pubblica amministrazione.
La sopravvenuta illegittimità delle citate disposizioni in materia di blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici imporrà, infatti, la riapertura del confronto sindacale anche sulla parte economica dei contratti (fermo, come anticipato, al 2009), ma comporterà altresì l’assenza di qualsivoglia diritto dei lavoratori per ciò che concerne gli anni di vigenza del predetto blocco stipendiale.
Gli effetti di tale sentenza, espressamente riferita alla disciplina emanata per il pubblico impiego, è destinata ad avere, verosimilmente, significativi risvolti anche nell’ambito della contrattazione collettiva del settore privato e, in particolare, della sanità privata.
In tale contesto si è, infatti, sempre tentato di riconoscere al personale delle strutture sanitarie gli stessi incrementi previsti per i dipendenti del comparto pubblico, al fine di fornire alle stesse una reale attrattiva nei confronti delle professionalità più ricercate (si pensi – ad esempio – gli infermieri) e di consentire loro di porsi nei confronti degli interlocutori pubblici (responsabili dell’accreditamento e del convenzionamento) alla stregua delle strutture del Servizio Sanitario Nazionale.
In questo senso, è ragionevole ritenere che la sentenza della Corte Costituzionale rappresenterà un importante punto di svolta anche nella contrattazione collettiva della sanità privata, imponendo la riapertura delle trattative e la definizione dei nuovi contratti collettivi che tengano conto tanto della decorrenza da luglio 2015, quanto del superamento del periodo intercorso dalla sottoscrizione degli ultimi ccnl.