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La Consulta boccia le censure sui licenziamenti collettivi.

20 Novembre 2020

È del 4 novembre u.s. il comunicato con il quale la Corte Costituzionale ha anticipato la decisione in merito alla questione di legittimità sollevata dalla Corte d’Appello di Napoli sui licenziamenti collettivi disciplinati dal cd Jobs Act, nel quale si afferma che “la motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni sia insufficiente e non sia stato chiarito il tipo di intervento richiesto alla Corte”, con conseguente inammissibilità delle critiche sollevate.

La questione sottoposta al vaglio del Giudice delle leggi (si cfr. precedente news del 21 gennaio 2020) trae origine dalla censura formulata nei confronti del sistema sanzionatorio previsto dalla normativa sul contratto a tutele crescenti, in caso di licenziamenti collettivi intimati in violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5, l. 223/91.

Come noto, a seguito dell’entrata in vigore del Jobs Act coesistono due diversi sistemi sanzionatori per la medesima violazione, il cui discrimine per l’applicazione è la data di assunzione dei lavoratori.

Infatti, i lavoratori assunti successivamente al 7 marzo 2015 beneficiano, in caso di recesso all’esito di una procedura di licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta, della sola tutela indennitaria prevista dall’art. 10, d.lgs. 23/15 (nella fattispecie, ratione temporis da 4 a 24 mensilità) mentre, nei confronti dei lavoratori assunti in epoca precedente a tale data, trova applicazione, a fronte della medesima violazione, la tutela reintegratoria attenuata (reintegra con risarcimento nei limiti di 12 mensilità).

Ebbene, la circostanza che in presenza di una identica violazione, alcuni lavoratori accedano alla tutela reintegratoria (con conseguente regolarizzazione ai fini previdenziali) e altri esclusivamente a quella indennitaria, è stata ritenuta, dal Collegio remittente del tutto irragionevole, anche sotto il profilo della quantificazione dell’indennità risarcitoria dovuta ai “nuovi assunti” (vale a dire dopo il 7 marzo 2015) il cui parametro di riferimento, diversamente da quanto previsto dalla normativa precedente (retribuzione globale di fatto), è rappresentato dalla “retribuzione utile ai fini del TFR”.

Non si conoscono, allo stato, le argomentazioni poste a sostegno della pronuncia di inammissibilità delle questioni sollevate, anche se, a giudicare dal tenore del suddetto comunicato, esse sembrerebbero riconducibili per lo più a carenze formali, imputabili al Collegio remittente, e relative al mancato rispetto dei parametri richiesti ai fini della legittimità delle censure costituzionali.

Per il momento, quindi, il regime sanzionatorio introdotto dal jobs act con riferimento ai licenziamenti collettivi può dirsi salvo.

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