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La Cassazione torna sull’apposizione del termine

25 Settembre 2018

A poco più di un mese di distanza dall’entrata in vigore della legge di conversione n. 96/2018, la quale, come noto, ha apportato non poche modifiche al Decreto Dignità introducendo differenti regimi di applicazione del contratto di lavoro a tempo determinato (cfr. news del 7 agosto 2018 e del 18 luglio 2018), i giudici della Cassazione, con perfetto tempismo, riportano l’attenzione degli operatori del diritto a quello che (inevitabilmente) rappresenterà il vero fulcro della tanto temuta nuova ondata di contenziosi giudiziari destinata ad ingolfare nuovamente le aule dei tribunali.

Con la sentenza 22188 la Cassazione, affrontando un caso riguardante le condizioni di validità previste dall’ormai abrogato d.lgs. n. 368/2001, che riteneva legittima l’apposizione di un termine di durata al contratto di lavoro solo in presenza di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo”, è intervenuta proprio sul tema delle causali giustificative in correlazione con la collocazione del lavoratore assunto a termine.

Con tale pronuncia gli Ermellini hanno chiarito (rectius ribadito) che al fine di poter considerare legittimo il contratto a termine è essenziale “non solo la precisa e puntuale indicazione delle ragioni determinative dell’assunzione a termine” ma anche “la diretta utilizzazione del lavoratore nell’ambito e nelle attività indicate ai fini dell’assunzione”.

Nel caso preso in esame prima dai giudici della Corte di Appello di Trieste e, successivamente, da quelli della Cassazione, il contratto impugnato difettava proprio di tale ultimo specifico requisito, essendo la ricorrente riuscita a dimostrare di essere stata adibita a mansioni non direttamente afferenti alla ragione indicata nel contratto, bensì allo svolgimento di attività ordinarie evidentemente estranee alla stessa.

In altri termini, la Cassazione con una pronuncia tesa a dirimere un contenzioso sorto sotto l’egida di un impianto normativo ormai abrogato, getta chiara luce su quelli che sicuramente saranno i canoni ermeneutici che i giudici dovranno tenere in debita considerazione nella gestione dei contenziosi futuri.

Niente di più attuale quindi se sol si considera che con la recente reintroduzione del meccanismo delle causali ad opera del Decreto Dignità verranno di certo a riproporsi tutte quelle criticità (che si auspicava di non dover più affrontare) connesse non soltanto con la difficoltà di dover riuscire ad indicare in modo sufficientemente esaustivo e specifico le causali del contratto, ma anche con la necessità di dover provare, in caso di eventuale contestazione circa la validità dello stesso, l’esatta ed effettiva corrispondenza della prestazione del lavoratore assunto a tempo determinato con la casuale indicata nel contratto.

 

 

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