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La Cassazione formula alcuni principi importanti in materia di responsabilità sanitaria

26 Novembre 2019

La Corte di Cassazione, nella stessa giornata dell’11 novembre u.s., ha emesso ben dieci sentenze in tema di responsabilità sanitaria (dalla n. 28985 alla n. 28994).

Tali pronunzie, formulate in relazione ad eventi verificatesi in precedenza all’entrata in vigore della legge n. 24/2017 (anche nota come legge Gelli-Bianco), hanno rappresentato per gli Ermellini un’occasione per svolgere una più completa disamina utile a chiarire alcuni punti in materia di responsabilità sanitaria che potevano essere rimasti oscuri anche a seguito dell’entrata in vigore della predetta legge.

Di seguito, i principi di diritto affermati nelle suddette sentenze:

  • sul consenso informato (Cass. n. 28985): con tale pronunzia i giudici di legittimità hanno, in primo luogo, ribadito il principio per cui l’acquisizione del consenso informato costituisce un dovere informativo – oggetto dell’obbligazione assunta dal medico verso il paziente con il rapporto di assistenza sanitaria – dal quale non si può prescindere. Inoltre gli stessi giudici hanno specificato che il consenso informato costituisce la sintesi di due diritti della persona, quello alla salute e quello all’autodeterminazione, “in quanto, se è vero che ogni individuo ha diritto di essere curato, egli ha altresì il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura ed ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto”.

Di conseguenza la Cassazione ha concluso che la violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente può causare sia un danno alla salute, sia un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione per inosservanza dell’obbligo informativo, entrambi risarcibili;

  • sull’equo risarcimento (Cass. n. 28986): gli Ermellini hanno precisato che la stima del danno alla salute da parte di chi sia già portatore di patologie e/o invalidità pregresse richiede innanzitutto che il medico legale fornisca al giudicante una doppia valutazione: una indicativa dell’effettivo grado di invalidità di cui la vittima dell’illecito sia complessivamente portatrice e l’altra indicativa del grado di invalidità di cui la vittima era precedentemente portatrice.

In particolare, secondo la Cassazione, occorre convertire in denaro sia la misura dell’invalidità complessiva, sia quella dell’invalidità preesistente e, ai fini della quantificazione di un giusto risarcimento del danno, si dovrà sottrarre il secondo importo al primo;

  • sul diritto di rivalsa (Cass. n. 28987): la legge n. 24/2017 disciplina il diritto di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti dei sanitari stabilendo che essa può essere esercitata per dolo o colpa grave (cfr. art.9 citata legge).

Quid iuris nel regime precedente?

Con la sentenza in esame, la Suprema Corte stabilisce che la struttura che si avvale della collaborazione di sanitari persone fisiche si trova a dover rispondere dei pregiudizi da costoro eventualmente cagionati; tale responsabilità trova radice non già in una colpa “in eligendo” degli ausiliari (ovvero per non averli scelti a dovere) o in una colpa “in vigilando” circa il loro operato (vale a dire per non avere saputo correttamente vigilare sulla loro attività), bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione di terzi nell’adempimento dell’obbligazione assunta (cfr. Cass. n. 6243/2015). A seguito di tali considerazioni, la Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: “in tema di danni da malpractice medica nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nell’ipotesi di colpa esclusiva del medico, la responsabilità deve essere paritariamente ripartita tra la struttura ed il sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi d’inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata”;

  • sui criteri di risarcimento del danno (Cass. 28988): la Cassazione ha statuito che, in presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. “del punto variabile”) può essere aumentata (ovvero “personalizzato”) solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale. Pertanto, le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili (vale a dire quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna “personalizzazione” in aumento del risarcimento;
  • sull’onere della prova (Cass. 28989; Cass. 28991; Cass. 28992): con tali pronunzie gli Ermellini danno continuità a quell’orientamento giurisprudenziale (cfr ex multis Cass. 16828/2018) a mente del quale incombe sul paziente danneggiato l’onere di provare il nesso di causalità tra la condotta del sanitario e l’evento di danno quale fatto costitutivo della domanda risarcitoria, non solo nel caso di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito ma anche nel caso di responsabilità contrattuale. Ciò anche quando il danno subito dal paziente si sia concretato nell’aggravamento di una patologia già preesistente;
  • sui criteri di liquidazione del danno introdotti dalla legge Balduzzi e confermati dalla legge Gelli (Cass. 28990): con tale pronunzia i giudici della Suprema Corte chiariscono che la cd. “legge Balduzzi”, laddove dispone l’applicazione nelle controversie concernenti la responsabilità – contrattuale o extracontrattuale per l’esercizio della professione sanitaria – dei criteri di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale secondo le tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private (criteri confermati anche dalla legge Gelli- Bianco), trova applicazione anche nei casi in cui la condotta illecita si sia verificata, ed il danno si sia prodotto, anteriormente alla data di entrata in vigore della legge Balduzzi.

La questione non è di poco conto e non è affatto pacifica, in quanto le disposizioni della legge Balduzzi (come sopra rilevato, pure confermate dalla legge n. 24/2017), prospettando criteri risarcitori più bassi di quelli utilizzati in altri settori, risultano più vantaggiose per le strutture sanitarie ovvero per i medici condannati al risarcimento;

  • sul danno da perdita di chance (Cass. 28993): per la Cassazione, affinché possa considerarsi risarcibile il danno da perdita di chance, in termini di “possibilità perduta”, occorre necessariamente la prova di una relazione tra la condotta dei medici ed il verificarsi dell’evento (in tal senso cfr. anche Cass. 26303/2019);
  • sulla irretroattività della legge Gelli (Cass. 28994): i giudici di legittimità hanno affermato il principio di diritto che afferma l’irretroattività della legge Balduzzi e della Legge Gelli-Bianco, le quali non possono pertanto applicarsi a fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore.

Fanno eccezione a tale principio (come evidenziato nella succitata sentenza 28990/19), le norme relative ai criteri di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale secondo le tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private che trovano applicazione anche nei casi in cui la condotta illecita si sia verificata, ed il danno si sia prodotto, anteriormente alla data di entrata in vigore delle predette leggi.

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