18 Settembre 2015
Nell’ambito della delega finalizzata al riordino dei contratti di lavoro vigenti, al fine di verificarne l’attualità e renderli maggiormente aderenti alle mutate esigenze del contesto occupazionale e produttivo, il Governo – con il d.lgs. n. 81/15 – ha proceduto, altresì, alla rivisitazione della disciplina del lavorointermittente(o anche detto “a chiamata”) vale a dire il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente.
In particolare gli artt. 13 e ss. del citato d.lgs. forniscono una disciplina organica ed esaustiva del contratto in questione, individuando i presupposti oggettivi e soggettivi in presenza dei quali può essere concluso, confermandone in buona sostanza l’impianto originario.
Come espressamente chiarito dalle suddette disposizioni normative, il datore di lavoro può far ricorso al lavoro a chiamata a fronte ad esigenze individuate dal ccnl o, in assenza, da un decreto del Ministero del Lavoro (dovendosi ritenere vigente, nelle more della relativa emanazione, il DM del 23/10/2004) oppure, in ogni caso, qualora il contratto sia concluso con soggetti con meno di 24 anni di età (purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno) o con più di 55.
Di contro è vietato il ricorso al lavoro intermittente:per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente, ovvero presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;infine, presso imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.
In ogni caso, il contratto a chiamata non può avere durata (complessiva) superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari.
Quanto al trattamento economico in base al principio di non discriminazione, deve essere garantito al lavoratore intermittente un trattamento economico equivalente a quello spettante ai lavoratori di pari livello e mansione, seppur riproporzionato in base all’attività realmente svolta.
In particolare, il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato con o senza l’obbligo di corrispondere una indennità di disponibilità, a seconda che il lavoratore si vincoli o meno a rispondere alla chiamata.
L’obbligo di rispondere alla chiamata deve essere espressamente pattuito nel contratto;inoltre, la chiamata deve avvenire nel rispetto di un preavviso, anch’esso formalizzato nel contratto; in tal caso il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può costituire un motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto.
Nei periodi in cui non ne viene utilizzata la prestazione il lavoratore intermittente non matura alcun trattamento, salvo che abbia garantito al datore di lavoro la propria disponibilità a rispondere alle chiamate (nel qual caso andrà riconosciuta la relativa indennità).
Da ultimo, in relazione agli adempimenti di natura procedurale, il datore di lavoro è tenuto a informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente, nonché a comunicare, prima dell’inizio della prestazione lavorativa ovvero di un ciclo integrato di prestazioni non superiore a trenta giorni, la durata alla direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante sms o posta elettronica.