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Jobs Act e riordino dei contratti: il lavoro a tempo parziale

24 Luglio 2015

Nell’ambito della delega finalizzata al riordino dei contratti di lavoro vigenti, al fine di verificarne l’attualità e renderli maggiormente aderenti alle mutate esigenze del contesto occupazionale e produttivo, il Governo – con il d.lgs. n. 81/15 – ha proceduto, altresì, alla rivisitazione della disciplina del lavoro part time.

Abrogato il d.lgs. n. 61/00, che per anni ha rappresentato la principale (se non l’unica) fonte normativa per tale tipologia contrattuale, il nuovo decreto ha riesaminato la disciplina del contratto di lavoro part time riprendendo – in larga parte – quella previgente, con alcune significative modifiche.
Il legislatore ha confermato innanzitutto la necessità che il contratto a tempo parziale sia stipulato per iscritto, ai fini della prova, e che all’interno dello stesso sia indicata puntualmente la durata della prestazione lavorativa e la collocazione temporale dell’orario, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.
A tale ultimo proposito, il decreto ha altresì precisato la possibilità, quando l’organizzazione del lavoro sia articolata in turni, di soddisfare il predetto requisito anche mediante rinvio ai turni programmati, articolati su fasce orarie prestabilite.

Un’importante novità è rappresentata, poi, dall’eliminazione di ogni riferimento alle varie tipologie di part time (orizzontale, verticale e misto), nonché alle clausole flessibili, ricondotte ora nell’unica categoria delle clausole elastiche che, pertanto, consentiranno sia la variazione della collocazione temporale della prestazione, sia la variazione in aumento della durata della stessa.
E’ stata prevista, inoltre, la possibilità di utilizzare le predette clausole anche in assenza di una previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva; in tale ipotesi la pattuizione dovrà, tuttavia, effettuata per iscritto innanzi ad una commissione di certificazione, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Nell’ambito della sanità privata, in cui il ccnl per il personale non medico di Case di cura e quello per i dipendenti di RSA e CdR prevedono una specifica disciplina per le sole clausole flessibili (ossia quelle che consentivano la variazione della collocazione temporale della prestazione) continueranno a trovare applicazione le previsioni contrattuali con riferimento alle citate clausole, che – pertanto – potranno continuare ad essere stipulate direttamente tra le parti senza ulteriori adempimenti.

Di contro, le clausole volte ad ampliare temporaneamente la durata della prestazione (ex clausole elastiche) stipulate con il predetto personale, ovvero entrambe le tipologie di clausole (secondo la precedente distinzione) pattuite con il personale medico o dirigenziale non medico (per il quale i contratti collettivi di riferimento non prevedono alcuna disciplina) dovranno necessariamente essere certificate e nei loro confronti troverà integrale applicazione la nuova disciplina normativa, secondo cui la durata massima dell’aumento non può eccedere il 25% della normale prestazione annua a tempo parziale e, in caso di attivazione, al lavoratore spetterà una maggiorazione del 15% sulla retribuzione oraria globale.
Dall’utilizzo delle citate clausole deve essere distinta sia la possibilità per il lavoratore part time di svolgere lavoro supplementare (ossia fino a concorrenza dell’orario di lavoro previsto per i lavoratori a tempo pieno) o straordinario (ovvero, oltre l’orario previsto per il tempo pieno), che si verifica ogni qualvolta per ragioni di carattere eccezionale e non prevedibile venga chiesto al lavoratore di trattenersi in servizio oltre il proprio orario di lavoro, sia l’eventuale necessità di modificare definitivamente l’orario di lavoro, variandone la collocazione o ampliandone la durata (nel qual caso sarà sufficiente l’accordo del lavoratore senza necessità di ricorrere alle predette clausole).

Il Jobs Act ha rinviato alla contrattazione collettiva l’individuazione del limite massimo delle ore di lavoro supplementare che ciascun lavoratore può effettuare (previsione già contenuta nei contratti collettivi per il personale non medico di Case di cura e di RSA e CdR), stabilendo che in caso di mancata disciplina da parte della contrattazione collettiva (come, ad esempio, nel caso dei contratti per il personale medico) trovi applicazione il limite legale del 25% delle ore di lavoro settimanali concordate, con possibilità per il lavoratore di rifiutare lo svolgimento di prestazioni supplementari in caso di comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.
Inoltre, ove il ccnl non preveda una specifica disciplina per il lavoro supplementare, il decreto ha stabilito che si applichi una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti.
Come anticipato, i contratti collettivi per il personale non medico (Case di cura e RSA e CdR) prevedono già una disciplina del lavoro supplementare svolto dai lavoratori part time analoga a quella legale (maggiorazione del 15% della retribuzione oraria) che continuerà, pertanto, a trovare applicazione; di contro, tale disposizione è destinata ad incidere sul trattamento da riservare al personale medico dipendente da Case di cura, per il quale troverà applicazione la disciplina legale (maggiorazione del 15%), atteso che il citato contratto disciplina unicamente il “lavoro supplementare” prestato dai dipendenti a tempo definito (dalla 31ma alla 38ma ora) e non anche con riferimento ai lavoratori part time.

Il decreto n. 81/15 conferma poi il diritto (già sancito dal previgente d.lgs. n. 61/00 come modificato dalla l. n. 247/07) alla trasformazione del rapporto da tempo pieno
a tempo parziale e la successiva ritrasformazione, a richiesta, nel caso in cui il lavoratore sia affetto da una patologia oncologia, estendendolo ora anche alle ipotesi di gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, opportunamente certificate da una commissione medica istituita presso la ASL competente.
Analoga conferma ha avuto la disciplina delle priorità nella trasformazione del contratto da tempo pieno a tempo parziale (e viceversa, in caso di nuove assunzioni a tempo pieno) nei confronti dei lavoratori il cui coniuge, figlio o genitore sia affetto dalle citate patologie, dei prestatori che assistano una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa ai sensi della l. n. 104/92, nonché dei dipendenti con figli conviventi di età non superiore a 13 anni o portatori di handicap ai sensi dell’art. 3 della citata legge n. 104.
Una novità è invece costituita dall’introduzione del diritto per il lavoratore di richiedere, per una sola volta, in luogo del congedo parentale (e nei limiti di quest’ultimo), la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, purchè con una riduzione oraria non superiore al 50%; in simili ipotesi il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla trasformazione.

La novella legislativa riprende, inoltre, la previsione che impone al datore di lavoro, in caso di nuove assunzioni a tempo parziale, di darne tempestiva informazione, anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile,  al personale già dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale e di prendere in considerazione le domande di trasformazione a tempo parziale dei dipendenti a tempo pieno, mentre è stata eliminata la previsione (contenuta nel d.lgs. n. 61/00) che sanciva il diritto del lavoratore al risarcimento del danno “in misura corrispondente alla differenza tra l’importo della retribuzione percepita e quella che gli sarebbe stata corrisposta a seguito del passaggio al tempo pieno nei sei mesi successivi a detto passaggio” in caso di violazione da parte del datore di lavoro del diritto di precedenza eventualmente previsto nel contratto individuale.
Come in passato, il decreto prevede infine il diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno dei lavoratori che abbiano precedentemente trasformato il proprio rapporto da full time in part time, precisando (non senza suscitare dubbi interpretativi) che tale diritto è riferito alle assunzioni “per l’espletamento delle stesse mansioni o di mansioni di pari livello e categoria legale rispetto a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale” (mentre la disciplina previgente faceva esclusivo riferimento alle assunzioni a tempo pieno per mansioni identiche o equivalenti a quelle svolte dal lavoratore in regime di part time).

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