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Interruzione del periodo di prova

31 Marzo 2017

Più volte giungono richieste di indicazioni circa il comportamento da seguire in caso di eventi interruttivi della prestazione lavorativa durante il patto di prova.
In proposito la giurisprudenza (ex multis, Cass. n. 19043 del 2015) occupandosi dell’argomento, ribadisce come, salva diversa previsione da parte della contrattazione collettiva, le eventuali assenze (o comunque interruzioni dell’attività lavorativa) non debbano essere computate all’interno del periodo di prova; pertanto, nel caso di un’assenza prolungata tale periodo deve intendersi come sospeso.
Tale principio, naturalmente, vale solamente nel caso in cui l’interruzione sia “inaspettata“, non dovendosi computare a tal fine l’interruzione dell’attività lavorativa per riposi settimanali e giorni festivi.
Ma procediamo con ordine.
La sentenza prende spunto da un ricorso effettuato da una lavoratrice che – dopo aver sottoscritto un verbale di conciliazione con il quale ha rinunciato ad impugnare un precedente contratto a tempo determinato a fronte di una futura assunzione a tempo indeterminato, è stata licenziata per mancato superamento del periodo di prova a causa di vari eventi di malattia circa 5 mesi dopo l’assunzione, mentre il periodo di prova fissato dalla contrattazione collettiva era pari a 3 mesi.
Tale licenziamento è stato poi impugnato dalla lavoratrice, per due differenti motivi:
–    nullità del patto di prova, in ragione della genericità delle mansioni alle quali la lavoratrice era stata adibita e dell’esistenza di un precedente rapporto di lavoro;
–    avvenuto completamento del periodo di prova.
Tali richieste sono state accolte in primo grado, ma respinte dalla Corte d’Appello.
Tuttavia, la Suprema Corte, in conformità a quanto già sancito nella precedente sentenza n. 4573/12, ha fornito un’interpretazione completamente differente del fatto in esame.
Quanto all’esistenza di un precedente rapporto di lavoro, la Cassazione ha ritenuto che il lungo lasso di tempo intercorso tra il pregresso rapporto e il nuovo abbiano legittimato la necessità di esperire nuovamente un periodo di prova, al fine di verificare la sussistenza e l’idoneità della lavoratrice a ricoprire la posizione lavorativa.
In tal prospettiva, a nulla rileva la circostanza che il precedente vincolo con la lavoratrice si sia interrotto a causa della scadenza del termine; tale interpretazione dei giudici di legittimità è ancora più condivisibile sol che si consideri quanto sia ben collaudata la prassi di utilizzare contratti a termine proprio al fine di “provare” il lavoratore per un tempo più lungo del normale periodo di prova!
La Corte si è pronunciata in maniera inequivocabile affermando come il periodo di prova non debba necessariamente essere considerato superato al sopraggiungere del giorno di calendario previsto, dovendosi invece tenere conto dei giorni in cui non si è prestata attività lavorativa per motivazioni non prevedibili.
Tra queste motivazioni gli Ermellini hanno individuato: la malattia, l’infortunio, la gravidanza, il puerperio, i permessi e lo sciopero; non sono invece state considerate come cause imprevedibili di interruzione dell’attività lavorativa i riposi settimanali e le festività.
Ciò nondimeno, la Suprema Corte ritiene che tale elenco possa essere modificato dalla contrattazione collettiva, la quale ha piena facoltà di inserire o eliminare ipotesi di interruzione del patto di prova, con il relativo diritto (o meno) al completamento del suddetto periodo.
Quanto infine all’idoneità delle ferie ad interrompere il periodo di prova, gli Ermellini hanno dato parere negativo; ciò in virtù del fatto che le ferie hanno la funzione di “consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività“, senza che ciò si possa – di norma – verificare durante il periodo di prova (che si svolge nella parte iniziale del rapporto di lavoro).

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