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Installa Facebook sul telefono aziendale e comunica dati riservati: legittimo il licenziamento

9 Luglio 2019

Interessante pronuncia del Tribunale di Bari (sent. n. 2636 del 10 giugno u.s.) in materia di legittimità dell’accesso ai dati del telefono aziendale e della loro utilizzabilità in giudizio.

Nella fattispecie, una dipendente aveva installato un profilo Facebook sul telefono aziendale in dotazione.

Lasciatolo in azienda durante un periodo di malattia, il datore di lavoro si avvedeva che sul telefono continuavano a giungere molti messaggi di natura privata, rilevando così non solo un uso a fini personali del telefono aziendale nelle ore di lavoro, bensì anche che la lavoratrice aveva fornito a ditte concorrenti nominativi e recapiti di promotori dell’azienda.

Ne seguiva il licenziamento per giusta causa della dipendente, che tuttavia ricorreva al giudice del lavoro, ritenendo illegittimo il recesso, tra le altre ragioni, perché il datore di lavoro aveva acquisito i dati del telefono – prodotti in giudizio attraverso gli screenshot dei messaggi di Facebook reperiti sul cellulare – in violazione della legge sulla privacy.

Il Tribunale di Bari, tuttavia – dopo aver affermato che il telefono aziendale può essere controllato dal datore di lavoro – ha ritenuto ammissibili ed utilizzabili gli screenshot prodotti in giudizio dall’azienda, confermando pertanto la legittimità del recesso in ragione della gravità della condotta, atteso che “costituisce grave illecito disciplinare, tale la giustificare il licenziamento per giusta causa il comportamento del dipendente che, oltre ad installare indebitamente un profilo Facebook sul telefono aziendale e ad impiegare tale dispositivo per intrattenere frequenti e numerose conversazioni private durante le ore di lavoro, riveli informazioni e notizie riservate riguardanti l’impresa ad aziende concorrenti dirette, che possano anche solo potenzialmente agevolare l’attività di imprese rivali”.

Sul punto, al di là della fattispecie in questione, la pronuncia appare rilevante in quanto si inserisce in un quadro connotato, allo stato attuale, da una grande incertezza anche nella giurisprudenza di legittimità.

Ed infatti, se in molte sentenze si è sostenuta la legittimità del controllo sui computer aziendali per motivi di sicurezza, con conseguente facoltà di prendere cognizione del contenuto anche privato dei computer, tuttavia si è anche affermato il divieto datoriale di accedere per finalità disciplinari alla mail personale del lavoratore.

Ancora, non molto tempo fa la Suprema Corte (Cass. 21965/18) ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore che in una chat “sindacale” su Facebook aveva offeso l’amministratore delegato, affermando la necessità di tutelare la segretezza nelle comunicazioni nei confronti di messaggi di posta elettronica scambiati tramite mailing list riservate, come la chat di un gruppo Facebook, da considerarsi alla stregua di corrispondenza privata, chiusa e inviolabile.

In senso opposto, però, sempre la Corte di Cassazione (Cass. 10280/18) poco prima aveva confermato la legittimità del licenziamento intimato nei confronti di una dipendente che su Facebook aveva usato frasi volgari e offensive contro un dirigente dell’azienda tali anche da ledere il buon nome dell’azienda stessa.

Da quanto sopra emerge pertanto un quadro ancora molto fluido in una materia peraltro che è continuamente soggetta a modifiche ed evoluzioni interpretative che hanno impedito sinora la stratificazione di orientamenti giurisprudenziali ben definiti.

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