15 Luglio 2022
Con la recente sentenza n. 21064 del 31 maggio 2022, la quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione affronta la delicata questione della responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio mortale del lavoratore sul posto di lavoro.
Appare opportuno innanzitutto ricordare quanto prevede l’art. 2087 del codice civile: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Il datore di lavoro – in virtù di quanto previsto dall’attuale normativa – deve adottare tutte le misure idonee a prevenire sia i rischi insiti nell’ambiente di lavoro, sia quelli derivanti da fattori esterni e inerenti al luogo in cui tale ambiente si trova: la sicurezza del lavoratore è infatti un bene di rilevanza costituzionale che deve essere garantito dal datore.
Quest’ultimo, pertanto, deve adottare non solo le particolari misure tassativamente previste dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore.
Premesso quanto sopra, si segnala che il caso relativo alla sentenza citata riguardava un lavoratore agricolo che, durante una calda giornata lavorativa, ha accusato un malore dovuto ad uno sbalzo termico, e ha perso la vita dopo una lunga agonia.
I Giudici di legittimità, respingendo la richiesta degli eredi del lavoratore, hanno confermato la decisione di merito, affermando che – anche in caso di infortunio mortale – i datori di lavoro sono esenti da colpe laddove abbiano adempiuto regolarmente agli obblighi di sicurezza a loro carico e abbiano valutato correttamente i rischi, ponendo in essere le relative tutele.
In particolare, richiamando quanto statuito dal giudice di primo grado, la Corte di Cassazione ha ritenuto che le previsioni del Documento di Valutazione dei Rischi (il cosiddetto DVR) adottato dal datore di lavoro fossero congrue rispetto alle mansioni svolte dai braccianti agricoli occupati nel vigneto, indicando adeguate misure di miglioramento delle condizioni ambientali di rischio, come limitare i tempi di esposizione a fattori sfavorevoli, dotare i lavoratori di adeguati indumenti di lavoro ed apprestare idonei locali o ripari per il ristoro degli addetti.
Secondo i Giudici di legittimità il rischio che riguardava in concreto l’attività di raccolta dell’uva, costituito dalla “movimentazione manuale dei carichi” doveva considerarsi accettabile alla luce delle valutazioni svolte nel DVR, cosicché la condotta del datore di lavoro – che aveva adempiuto correttamente agli obblighi imposti dal Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/2008) – doveva ritenersi esente da critiche.
Sulla base delle suddette motivazioni, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato le decisioni di primo e secondo grado che avevano accertato l’insussistenza di qualsiasi responsabilità in capo al datore di lavoro.