2 Aprile 2019
La recente sentenza n. 5482 del 25 febbraio 2019 della Sesta Sezione della Suprema Corte, affronta l’annoso (e controverso) tema della natura – risarcitoria o retributiva – dell’indennità per ferie non godute.
Come noto, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 66/2003, le ferie minime previste dalla legge (pari a quattro settimane annue) non possono essere monetizzate, ma devono essere godute in misura pari ad almeno due settimane nell’anno di maturazione e per la restante parte nei 18 mesi successivi.
Tuttavia, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il datore è tenuto a liquidare al personale un importo corrispondente alla retribuzione per le ferie residue.
Pertanto, ci si è spesso interrogati sulla natura di tale importo, la cui funzione – soprattutto qualora siano ormai decorsi i termini per il godimento delle ferie – non è più quella di consentire il reintegro delle energie psico-fisiche del lavoratore, bensì di risarcire gli eventuali danni causati dal mancato riposo.
In proposito, la giurisprudenza ha talvolta riconosciuto a tale somma una natura prettamente retributiva (Cons. Stato, 1503/2007), mentre altre volte si è ritenuta preponderante la componente risarcitoria dell’emolumento in questione (Cons. Stato, 6710/2005; CTR Lazio, 6 febbraio 2013).
Più di recente, invece, la Sezione Lavoro della Cassazione ha (salomonicamente) precisato che “l’indennità sostitutiva delle ferie non godute ha natura mista, sia risarcitoria che retributiva” (Cass. 13473/2018; Cass. 1757/2016). Tale somma, pertanto, è soggetta ad un termine di prescrizione decennale (e non quinquennale, come gli emolumenti retributivi), ma allo stesso tempo rientra nella base imponibile fiscale e contributiva del lavoratore (al pari di tutte le voci economiche rientranti nella retribuzione del dipendente).
Con la sentenza in esame, invece, la Sesta Sezione della Cassazione (competente per le controversie tributarie) ha espresso un diverso orientamento, qualificando l’indennità per ferie non godute come “retributiva”, in quanto in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo.
È evidente, pertanto, come tale questione giuridica non abbia ancora trovato una sua soluzione pacifica.
Sul piano operativo, tuttavia, è ormai chiaro che la somma in questione, sebbene finalizzata a risarcire un (potenziale) danno del lavoratore, non possa essere sottratta dalla retribuzione imponibile del lavoratore.