12 Novembre 2018
È stata pubblicata lo scorso 8 novembre l’attesa sentenza della Corte Costituzionale (n. 194/2018) che, come preannunciato dal Comunicato stampa del 26 ottobre u.s., ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, co. 1. D. lgs. 4 marzo 2015 n. 23 (Disciplina del contratto a tutele crescenti) – sia nel testo originario sia nel testo modificato dall’art. 3, co. 1 del 12 luglio 2018 n. 87 (c.d. Decreto Dignità) – nella parte in cui determina l’indennità risarcitoria spettante al lavoratore illegittimamente licenziato in “due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio”.
Ad avviso della Corte, tale disposizione, nel quantificare in maniera rigida ed uniforme l’indennità risarcitoria, ancorandola esclusivamente all’anzianità di servizio – senza dunque tenere conto della molteplicità dei fattori che incidono sull’entità del pregiudizio causato al lavoratore estromesso ingiustamente dall’azienda – viola il principio di uguaglianza, in quanto impedisce al Giudice di graduare l’ammontare dell’indennità in relazione alla peculiarità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, traducendosi tale previsione “in una indebita omologazione di situazioni che possono essere – e sono, nell’esperienza – diverse”.
Sempre a parere della Corte, la disposizione in commento si pone altresì in contrasto con il principio di ragionevolezza, laddove si dimostra inidonea non solo a costituire un “deterrente” per il datore di lavoro che intenda procedere ad un licenziamento illegittimo, ma anche e soprattutto a riparare il pregiudizio effettivamente subìto dal lavoratore ingiustamente licenziato, soprattutto nei casi di anzianità di servizio non elevata.
In tal senso anche l’art. 24 della Carta Sociale Europea – in relazione al quale è stata dichiarata anche l’illegittimità costituzionale degli artt. 76 e 117 primo comma Cost. – che afferma ”il diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo, ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione”, come chiarito anche dal Comitato Europeo dei diritti sociali in un precedente del 2014.
Alla stregua delle superiori argomentazioni, la Corte ha dunque stabilito che nel rispetto dell’intervallo tra l’ammontare minimo (6 mensilità) e massimo (36 mensilità) dell’indennizzo il Giudice, nella quantificazione dell’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato debba tener conto oltre che dell’anzianità di servizio (che in ogni caso assume valore rilevante), anche degli ulteriori criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti)”.
In conclusione, stante l’immediata applicazione (anche ai procedimenti in corso) dei nuovi criteri di quantificazione non si dovrà attendere a lungo prima che venga appurato se l’ampia discrezionalità attribuita ai giudici si tradurrà, concretamente, in un maggiore rispetto del principio di uguaglianza, o in una maggiore incertezza, in ragione del rischio che fattispecie analoghe vengano decise in maniera difforme a seconda del Giudice assegnatario.