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Incentivo all’esodo per i lavoratori anziani

20 Settembre 2013

A seguito dei chiarimenti forniti dall’Inps con circolare n. 119 del 1° agosto u.s. e dal Ministero del Lavoro con circolari n. 24 e 33 del 2013, è divenuto operativo l’istituto dell’incentivazione all’esodo introdotta dall’art. 4, commi da 1 a 7-ter, della l 92/2012.

La predetta disposizione, prevede che “nei casi di eccedenza di personale, accordi tra datori di lavoro che impieghino mediamente più di quindici dipendenti e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello aziendale possono prevedere che, al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori più anziani, il datore di lavoro si impegni a corrispondere ai lavoratori una prestazione di importo pari al trattamento di pensione che spetterebbe in base alle regole vigenti, ed a corrispondere all’INPS la contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento. La stessa prestazione può essere oggetto di accordi sindacali nell’ambito di procedure ex articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero nell’ambito di processi di riduzione di personale dirigente conclusi con accordo firmato da associazione sindacale stipulante il contratto collettivo di lavoro della categoria”.

Tipologie di incentivo.
Secondo quanto chiarito dal Ministero del Lavoro, il suddetto comma introduce tre distinte fattispecie di esodo agevolato: a) incentivo all’esodo mediante accordo aziendale; b) accordi sindacali nell’ambito di procedure ex articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223; c) processi di riduzione di personale dirigente.
La prima fattispecie si riferisce al caso in cui, in presenza di eccedenze di personale, il datore di lavoro stipuli un accordo con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello aziendale.
Tale accordo, anche nel caso in cui individui, in via diretta o indiretta, i lavoratori coinvolti, assume valore vincolante nei confronti dei singoli dipendenti solo a seguito dell’accettazione da parte dei medesimi, trattandosi, come espressamente indicato dalla norma, di una forma di incentivazione.
La cessazione del rapporto di lavoro sarà pertanto frutto di una risoluzione consensuale.
Di contro, invece, la seconda fattispecie, si riferisce al caso in cui la stessa prestazione sia oggetto di accordi sindacali nell’ambito di procedure di licenziamento collettivo; in tal caso, il legislatore prevede semplicemente che la procedura di licenziamento collettivo, di cui agli articoli 4 e 24 della legge 223/1991, possa sfociare in un accordo sindacale che preveda l’impegno del datore di lavoro a farsi carico dei costi legati alla prestazione in questione.
In questo caso il criterio di scelta di cui all’articolo 5, comma 1, della legge 223 sarà costituito dalla prossimità al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento (da raggiungere comunque entro 4 anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro).
A seguito dell’accordo, la procedura di licenziamento collettivo procederà secondo il suo iter naturale con l’unica differenza che il licenziamento darà luogo in tal caso non all’ASpI, bensì alla corresponsione della prestazione di importo pari al trattamento di pensione fino a quel momento maturato.
Per questa fattispecie è inoltre previsto – al comma 7-ter – che il datore di lavoro non sia tenuto a versare il contributo per l’ASpI.
Quanto alla terza fattispecie, relativa ai procedimenti di riduzione del personale dirigente, si evidenzia che la stessa è analoga alla prima, con la differenza che – in tal caso – l’associazione sindacale legittimata a stipulare l’accordo è quella “stipulante il contratto collettivo di lavoro della categoria”, a prescindere dalla rappresentatività della stessa presso il datore di lavoro coinvolto.

Requisiti dei lavoratori coinvolti.
Quanto ai requisiti dei lavoratori coinvolti, il comma 2 prevede che questi debbano raggiungere i requisiti minimi per il pensionamento, di vecchiaia o anticipato, nei quattro anni successivi alla cessazione dal rapporto di lavoro.
Tale requisito, secondo le precisazioni ministeriali, dovrà essere verificato dall’Inps e sarà una condizione per la validità della cessazione del rapporto di lavoro.
Secondo quanto precisato dalla citata circolare n. 24/2013, infatti, nel caso di accordo con adesione del lavoratore, la cessazione sarà resa invalida dalla mancata sussistenza dei presupposti; qualora, invece, ci si trovi nell’ipotesi di accordo nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo di cui agli articoli 4 e 24 della legge 223/1991, sarà il coinvolgimento del lavoratore nella procedura ad essere inficiato.
Il raggiungimento, nei quattro anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, dei requisiti per il pensionamento, andrà verificato con riferimento alle regole vigenti al momento della cessazione del rapporto di lavoro, comprensive degli adeguamenti all’incremento della speranza di vita residua, secondo la previsione effettuata con riferimento allo scenario demografico Istat (centrale, base 2007).
Allo stato attuale, pertanto, potrebbero essere coinvolti dagli accordi in questione:
• i lavoratori dipendenti in possesso di 16 anni di contribuzione, che raggiungano 66 anni e tre mesi di anzianità anagrafica entro il 31/12/2015, ovvero 66 anni e 7 mesi di anzianità anagrafica entro il 31/12/2017 (pensione di vecchiaia);
•  le lavoratrici dipendenti i lavoratori dipendenti in possesso di 16 anni di contribuzione, che raggiungano 62 anni e tre mesi nel 2013, ovvero 63 anni e 9 mesi entro il 31/12/2015, ovvero 65 anni e 7 mesi entro il 31/12/2017 (pensione di vecchiaia);
• i lavoratori dipendenti che conseguano, indipendentemente dall’età anagrafica, 42 anni e 5 mesi di anzianità contributiva nel 2013, ovvero 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva entro il 31/12/2015, ovvero 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva entro il 31/12/2017 (pensione anticipata);
• le lavoratrici dipendenti che conseguano, indipendentemente dall’età anagrafica, 41 anni e 5 mesi di anzianità contributiva nel 2013, ovvero 41 anni e 6 mesi di anzianità contributiva entro il 31/12/2015, ovvero 41 anni e 10 mesi di anzianità contributiva entro il 31/12/2017 (pensione anticipata);
• lavoratrici e lavoratori dipendenti che abbiano maturato almeno 16 anni di contribuzione effettiva (con esclusione della contribuzione figurativa, ad esempio derivante da maternità, malattia, etc.) con primo accredito a successivo al 01/01/1996, che, entro il 31/12/2015, compiano almeno 63 anni e tre mesi di età anagrafica, ovvero che entro il 31/12/2017 compiano almeno 63 anni e sette mesi di età anagrafica, a condizione che la prima rata della pensione risulti non inferiore ad un importo soglia mensile pari a 2,8 volte l’importo mensile dell’assegno sociale (pensione anticipata). Si precisa che tale ultima forma di accesso alla pensione di vecchiaia anticipata risulta difficilmente applicabile ai dipendenti della sanità privata. Ed infatti, allo stato, la prima rata della pensione dovrebbe essere almeno pari ad almeno 1.239 euro (442,30×2,8), corrispondenti ad una retribuzione annua pari, circa, ad euro 45.000.
Si evidenzia che – a prescindere dalle valutazioni svolte ex ante – la liquidazione della pensione al termine del periodo di esodo sarà comunque effettuata sulla base della normativa in vigore alla data di decorrenza del trattamento pensionistico.
Nel caso in cui intervengano modifiche normative che innalzino i requisiti di accesso al trattamento pensionistico, nonché nel caso di incremento dell’aspettativa di vita superiore a quello – tempo per tempo – previsto dalla tabella tecnica di accompagnamento al decreto legge n. 201/2011, a favore dei soggetti già titolari di prestazione, l’erogazione di quest’ultima proseguirà per l’ulteriore necessario periodo, fermo restando il limite dei 48 mesi, a carico del datore di lavoro esodante.

Procedure amministrative.
Il comma 3 dell’articolo 4 della l. 92/2012 afferma che “allo scopo di dare efficacia all’accordo di cui al comma 1, il datore di lavoro interessato presenta apposita domanda all’INPS, accompagnata dalla presentazione di una fideiussione bancaria a garanzia della solvibilità in relazione agli obblighi”.
La domanda, successiva alla stipula dell’accordo tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali, ovvero dell’accordo di cui all’articolo 4 della legge n. 223/1991, dovrà essere presentata all’Inps, con le modalità definite dall’Istituto, comprensiva della lista dei lavoratori coinvolti.
Su tale lista l’Istituto svolgerà le attività di verifica dei requisiti soggettivi in capo al datore di lavoro ed al lavoratore; con riferimento a questi ultimi, in particolare, l’Inps emetterà l’estratto conto certificato, validando le singole posizioni individuali e calcolando, in relazione ad ognuna, l’importo iniziale della prestazione e l’onere connesso con la contribuzione figurativa ad essa correlata.
In caso di esodo volontario, l’accordo verrà validato dall’Inps con riferimento ai soli lavoratori per i quali sia stato verificato il possesso dei prescritti requisiti.
In caso, invece, di esodo derivante da accordo nell’ambito delle procedure ex articoli 4 e 24 della legge n. 223/1991, l’accertamento della mancanza dei requisiti soggettivi in capo ad uno o più lavoratori coinvolti impedirà la validazione dell’accordo, salvo le parti stipulanti abbiano previsto ex ante che esso resti valido in presenza di un numero minimo di lavoratori per i quali sia riscontrata la presenza dei requisiti soggettivi o indipendentemente da tale numero, oppure che le medesime parti convalidino ex post l’accordo medesimo.
L’accordo può inoltre prevedere che la cessazione del rapporto di lavoro (ed il conseguente accesso alla prestazione di importo pari al trattamento di pensione fino a quel momento maturato) si produca al raggiungimento dei requisiti soggettivi (raggiungimento entro quattro anni dei requisiti per minimi per il pensionamento, di vecchiaia o anticipato).
L’Inps comunicherà inoltre al datore di lavoro l’importo complessivo dell’onere, ai fini della presentazione di una idonea fideiussione bancaria a garanzia della solvibilità.
A seguito della validazione dei requisiti soggettivi da parte dell’Inps, il datore di lavoro sarà obbligato alla presentazione di una idonea fideiussione bancaria; tale presentazione è condizione di efficacia dell’accordo nei confronti dei lavoratori coinvolti.
Secondo il Ministero del Lavoro, conclusa la fase di verifica da parte dell’Inps, il lavoratore, cui sarà comunicato l’importo iniziale della prestazione, dovrà accettare la prestazione stessa.
Ad ogni modo, la circolare precisa che l’accettazione del lavoratore costituisce condizione della cessazione del rapporto di lavoro esclusivamente nei casi in cui è richiesta la risoluzione consensuale (prima e terza fattispecie); in caso di procedure di licenziamento collettivo, invece, “la cessazione del rapporto di lavoro si produce per effetto del licenziamento, secondo quanto previsto dall’articolo 4, comma 9, della legge n. 223/1991, e l’accettazione da parte del lavoratore riguarda esclusivamente la scelta tra la prestazione in oggetto e le altre prestazioni connesse alla cessazione del rapporto di lavoro” (Ministero del Lavoro, circolare n. 24/2013).
Si precisa, infine, che – secondo la circolare ministeriale – gli adempimenti a carico del datore di lavoro costituiscono sempre condizione di efficacia dell’accordo collettivo.

Oneri a carico del datore di lavoro.
Come sopra accennato, il datore di lavoro è tenuto a versare all’Inps, mensilmente o in un’unica soluzione, un importo pari alla prestazione spettante ai lavoratori in base alle regole vigenti ed alla contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento; sarà poi l’Inps ad erogare ai lavoratori le prestazioni dovute, con le modalità di versamento dei trattamenti pensionistici.
Per ciò che attiene alla quantificazione della prestazione spettante al lavoratore, l’Inps ha chiarito che il valore della stessa è pari all’importo del trattamento pensionistico che spetterebbe al dipendente al momento di accesso alla prestazione medesima, in base alle regole vigenti, esclusa la contribuzione figurativa correlata che il datore di lavoro si impegna a versare per il periodo di esodo.
Di tali ulteriori contributi previdenziali, poi, l’Inps terrà conto al momento del calcolo del trattamento pensionistico (che, quindi, sarà “pieno”), una volta che il lavoratore ne abbia maturato i requisiti.
Infine, in analogia con quanto previsto per le ipotesi di cessazione involontaria del rapporto di lavoro dall’articolo 2, commi 6 e 10, della legge n. 92/2012 in materia di ASpI, la retribuzione media mensile, sulla quale devono essere commisurati i contributi correlati, è determinata dalla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive (retribuzione imponibile esposta in uniEmens), divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33.

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