18 Novembre 2011
La Corte di Cassazione con la recente sentenza del 6 luglio 2011 n. 14875 è tornata ad esprimersi in materia di trasferimento del dipendente come sanzione disciplinare, precisando come ciò sia possibile solo in presenza di una conforme previsione della contrattazione collettiva in tal senso.
In materia si è più volte espressa la giurisprudenza di legittimità, il cui orientamento – che può ormai definirsi costante – è quello ultimamente ribadito, ovvero di ritenere legittimo il trasferimento “disciplinare” esclusivamente nelle ipotesi in cui la contrattazione collettiva lo includa tra le tipiche sanzioni applicabili ai lavoratori.
In particolare i giudici di legittimità, nella sentenza n. 14875/2011 come anche in altri precedenti giurisprudenziali, superano il contrasto con l’art. 7, 4° comma, dello Statuto dei Lavoratori che prescrive il divieto di disporre sanzioni che “comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro”, giungendo ad affermare che: a) <<la contrattazione collettiva è abilitata ad individuare sanzioni diverse da quelle tipiche previste dall’art. 7 della legge n.300/1970>> (cfr Cass. sentenza n. 7045 del 24 marzo 2010); b) <<il trasferimento non comporta alcun cambiamento definitivo sostanziale del rapporto di lavoro che permane del tutto inalterato anche nella nuova sede, in quanto il luogo della prestazione lavorativa non costituisce di per sé un elemento essenziale ed immutabile del rapporto di lavoro>> (cfr Cass. sentenza del 9 maggio 1990 n. 3811); c) <<il trasferimento non modifica definitivamente il rapporto di lavoro ma soltanto una sua modalità topografica che neppure incide sul contenuto qualitativo e professionale della prestazione svolta>> (cfr Cass. sentenze nn. 11233/90 e 10252/95).
I ccnl vigenti nell’ambito della sanità privata (sia con riferimento al personale medico, sia con riferimento al personale non medico) non prevedono ancora il trasferimento quale possibile sanzione disciplinare; in ogni caso ciò non esclude che possa – qualora ne sussistano i presupposti – farsi ricorso al c.d. trasferimento per “incompatibilità ambientale”, largamente ammesso dalla giurisprudenza non già per motivi disciplinari ma per ragioni organizzative e/o produttive.
Sul punto appare esaustiva una sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 11882 del 6 agosto 2003), secondo la quale il trasferimento può essere legittimamente disposto a causa della sussistenza di una situazione di “incompatibilità fra il lavoratore ed i suoi colleghi e collaboratori diretti, quando tale incompatibilità, determinando conseguenze (quali tensioni nei rapporti personali o contrasti nell’ambiente di lavoro) che costituiscono esse stesse cause di disorganizzazione e disfunzione nell’unità produttiva, realizzi un’obiettiva esigenza aziendale di modifica del luogo di lavoro”.
In tale ultimo caso, il provvedimento di trasferimento non è in alcun modo configurabile come provvedimento disciplinare ma si basa su una situazione oggettiva di disagio nell’ambiente di lavoro che costituisce una delle ragioni organizzative-produttive che possono sottendere al trasferimento ai sensi dell’art. 2103 c.c.
La Cassazione (cfr sentenza n. 10333 del 21 ottobre 1997) ha inoltre specificato che è altresì possibile, nei confronti di un lavoratore che sia incorso in una sanzione disciplinare conservativa tra quelle disciplinate dalla contrattazione collettiva, procedere successivamente al trasferimento, <<ben potendo un fatto disciplinarmente rilevante costituire, altresì, una delle ragioni tecniche, organizzative o produttive previste dall’art. 2103 c.c. ai fini della legittimità del trasferimento>>.
In tali casi, quindi, è opportuno adottare dapprima una sanzione disciplinare e solo successivamente procedere al trasferimento, per evitare che a quest’ultimo venga attribuito valore sanzionatorio.
In ogni caso, in sede di trattative per il rinnovo dei ccnl della Sanità privata, si valuterà l’inserimento del trasferimento tra le sanzioni disciplinari tipiche, posto che un’ulteriore graduazione delle sanzioni disciplinari potrebbe corrispondere ad un interesse sia del datore di lavoro sia del lavoratore, al quale potrebbe applicarsi la sanzione del trasferimento quale “extrema ratio” per la salvaguardia del posto di lavoro nel caso in cui – per la gravità del fatto commesso – non vi sarebbe altra possibilità che l’irrogazione del licenziamento.