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Il tentativo preventivo di conciliazione in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

5 Ottobre 2012

Come già segnalato in una precedente nota disponibile sul sito www.studiocostantino.it, la Riforma Fornero (l. 92/2012), oltre a modificare le sanzioni previste per il caso del licenziamento illegittimo, ha altresì reso obbligatorio un nuovo procedimento preventivo da seguire in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo individuale o plurimo, in tutti i casi in cui trovi applicazione l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Si tratta, in particolare, dei c.d. “motivi economici” derivanti dalle riorganizzazioni e dagli altri mutamenti della struttura organizzativa del datore di lavoro (accorpamenti di funzioni, soppressione di determinati posti di lavoro, etc.) che determinino un numero di licenziamenti comunque non superiore alle quattro unità. Vi è il dubbio se il procedimento in questione debba essere applicato anche ai casi di licenziamento per inidoneità sopravvenuta del dipendente; al riguardo, infatti, si segnala che – sebbene, per la consolidata giurisprudenza di legittimità, l’inidoneità sopravvenuta allo svolgimento delle mansioni contrattualmente previste integri un giustificato motivo oggettivo di licenziamento (cfr. Cass. 9700/2010) – tuttavia, alcune Direzioni Territoriali del Lavoro hanno negato che, in tali casi, sia necessario procedere al tentativo di conciliazione previsto dalla normativa in esame.
Ad ogni modo, sotto il profilo procedurale, la Riforma – modificando l’art. 7 della legge n. 604/1966 – ha previsto che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro, prima di comunicare la cessazione del rapporto di lavoro, debba inviare una preventiva informativa al dipendente ed alla competente Direzione Territoriale del Lavoro (DTL); la DTL, una volta ricevuta tale comunicazione, provvede (entro 7 giorni) a convocare le parti per un preventivo tentativo di conciliazione di durata non superiore a 20 giorni, il quale, fermi restando i diversi accordi tra le parti, può essere prorogato per non più di 15 giorni in caso di documentate esigenze del lavoratore.

Tale procedimento, come implicitamente ammette la norma in questione parlando di conciliazione, è volto ad evitare il contenzioso in materia di licenziamento, mediante la stipula di accordi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro che, normalmente, prevedano anche l’erogazione di un incentivo all’esodo.
Tale ipotesi, peraltro, appare auspicata dalla nuova normativa, la quale, infatti, fa espressamente salva, in caso di stipula di un simile accordo, la possibilità per il dipendente di beneficiare della nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI), altrimenti riservata unicamente alle ipotesi di disoccupazione involontaria dei dipendenti (licenziamento per giustificato motivo oggettivo e dimissioni per giusta causa).
All’esito del tentativo di conciliazione, sia in caso di definizione consensuale della questione, sia in caso di mancato accordo, il datore di lavoro, salve diverse pattuizioni, è legittimato a procedere al licenziamento ed il recesso, per espressa previsione normativa, produce effetto sin dalla comunicazione della lettera che ha avviato il procedimento, con conseguente imputazione a preavviso lavorato dell’eventuale periodo lavorativo intercorso nelle more del tentativo di conciliazione (un simile effetto è previsto anche nel caso dei licenziamenti per motivi disciplinari, i cui effetti, oggi, retroagiscono alla data di “comunicazione” della lettera di contestazione).
A tal proposito, si rileva che talune imprecisioni terminologiche contenute nella normativa in questione, potrebbero, soprattutto in fase di prima applicazione, dare luogo a problematiche di tipo operativo.

In primo luogo, infatti, non si comprende cosa la norma intenda con il termine “comunicazione” della lettera di avvio del tentativo di conciliazione o della lettera di contestazione; rimane, infatti, il dubbio se, con tale parola, il legislatore abbia voluto riferirsi alla data di invio o di ricevimento della lettera in questione.
Inoltre, la nuova normativa andrà necessariamente coordinata con la prassi e con le procedure in materia di comunicazioni obbligatorie, posto che la retrodatazione degli effetti del licenziamento potrebbe comportare delle discrasie tra quanto comunicato telematicamente ai Centri per l’Impiego e le informazioni fornite all’Inps mediante i flussi Uniemens.
Un ulteriore profilo critico, inoltre, attiene al rapporto tra la retrodatazione del licenziamento e le eventuali gravidanze o infortuni intervenuti nelle more del tentativo di conciliazione; la Riforma, infatti, in maniera piuttosto criptica, fa salvi gli effetti sospensivi previsti dalla normativa in materia di maternità e, inoltre, estende la sospensione del licenziamento, anche al caso dell’infortunio sul lavoro.
Con particolare riferimento all’ipotesi dell’infortunio, infatti, appare evidente che una simile previsione – sebbene abbia apprezzabilmente escluso la sospensione degli effetti del licenziamento in caso di malattia di origine non lavorativa – potrebbe ancora consentire comportamenti fraudolenti da parte di taluni lavoratori.

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