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Il Tar boccia le visite a “tempo” e riapre il dibattito sull’autonomia del medico.

3 Agosto 2018

Il Tar del Lazio – con sentenza n. 6013/2018 – ha accolto il ricorso del SUMAI (Sindacato Unico Medicina Ambulatoriale Italiana) avverso il Decreto n. U00239 del 28 giugno 2017, con il quale la Regione aveva adottato il “tempario regionale di riferimento delle prestazioni specialistiche ambulatoriali individuate come critiche”, al dichiarato scopo di ridurre le liste d’attesa.

In sostanza, con il citato decreto, la Regione aveva individuato unilateralmente la durata massima di alcuni esami e visite specialistiche, imponendo, dunque, ai medici di rendere le proprie prestazioni in un range temporale stabilito a priori, prescindendo da tutte le peculiarità e complessità eventualmente emergenti rispetto alla situazione del singolo paziente.

Secondo il Tribunale amministrativo, in particolare, il decreto regionale in commento avrebbe violato l’art. 8 della l. n. 502/92, il quale demanda l’organizzazione del lavoro dei medici specialisti ambulatoriali all’Accordo Collettivo Nazionale di categoria, che – a sua volta – fa salva l’autonomia di giudizio del professionista circa la congruità del tempo da riservare a ciascuna visita.

La sentenza sancisce, inoltre, come la fissazione preventiva dei tempi di esecuzione di determinanti esami e visite sia lesiva anche delle prerogative di autodeterminazione dei singoli specialisti, più volte ribadite anche dal Codice di Deontologia Medica, evidenziando come l’obiettivo della riduzione delle lista d’attesa “potrebbe essere piuttosto concretizzato, a titolo esemplificativo, attraverso un (tanto auspicato) aumento delle risorse umane e strumentali da adibire ad un così delicato settore quale quello della pubblica sanità”.

Più che per le argomentazioni dei giudici (del tutto condivisibili anche nelle loro conclusioni), la pronuncia in esame offre lo spunto per una riflessione sull’attuale ruolo del medico nella sanità (non solo pubblica), anche in vista del prossimo (ed auspicato) rinnovo dei contratti collettivi di categoria.

Negli ultimi 20 anni, si è assistito ad importanti affermazioni di principio in ordine all’autonomia, alla libertà e responsabilità professionale della professione medica, tanto da giungere al riconoscimento della qualifica dirigenziale e ad affermare persino l’inesistenza di un vincolo di subordinazione gerarchica tra i medici all’interno dei reparti.

Tuttavia, di pari passo, si è assistito anche a riforme orientate sempre più spesso a limitare detta autonomia, in perseguimento dell’obiettivo del contenimento della spesa sanitaria (come nel caso dei “tempari”, oggetto del provvedimento annullato dal Tar con la sentenza in commento) e della conseguente necessità che ogni prestazione erogata risponda a criteri di appropriatezza e rispetti scrupolosamente protocolli e linee guida (anche per limitare le occasioni di responsabilità).

In un simile contesto, apparentemente contraddittorio, alla contrattazione collettiva (richiamata anche dal Tar del Lazio a fondamento della propria decisione) può essere riservato un ruolo determinante nella valorizzazione della dignità e centralità della figura del medico.

E’ evidente che un simile obiettivo non si possa perseguire trascurando o ignorando quanto limitati siano i mezzi e le risorse attualmente destinate alla sanità pubblica e privata accreditata (quest’ultima chiamata ad erogare i medesimi servizi del SSN, senza neppure il riconoscimento dei costi effettivamente sostenuti), né sembra possibile ritornare ad esonerare il medico da ogni implicazione economico-burocratica derivante dalla sua attività e cancellare quelle competenze manageriali pure richieste ai medici con le ultime riforme sanitarie, accanto a quelle propriamente professionali.

Lo sforzo delle parti sociali potrebbe pertanto essere indirizzato verso una ridefinizione della disciplina degli incarichi, che introduca una autentica autonomia di azione del medico in ambito professionale e gestionale, anche – se del caso – prevedendo due percorsi di carriera differenziati (ma di pari dignità) tra “medici manager” e “medici professionisti”, sulla scorta ad esempio di quanto ha già previsto il Regolamento per l’individuazione, graduazione ed attribuzione degli incarichi dirigenziali adottato dalla Regione Veneto.

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