3 Febbraio 2012
La legge 12 novembre 2011, n. 183, meglio nota come Legge di Stabilità, è intervenuta anche in merito alla disciplina del contratto a tempo parziale.
Le modifiche alla disciplina vigente sono tutte contenute nel comma 4 dell’art. 22 della suddetta legge.
Tra le novità fondamentali, la nuova norma, entrata in vigore il 1° gennaio 2012, prevede, innanzitutto, l’abrogazione delle lettere a) e b) dell’art. 1, comma 44, Legge 24 dicembre 2007, n. 247, ripristinando i commi 7 e 8 dell’art. 3 D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, nel testo così come modificato dall’art. 46, D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
Tale intervento – sicuramente quello di più forte impatto – afferisce alla possibilità per le parti di introdurre a tempo parziale le clausole flessibili o elastiche, pur senza l’“avallo” da parte della contrattazione collettiva di riferimento.
E’ necessario rammentare che il contratto a tempo parziale, essendo notoriamente finalizzato a conciliare i tempi di vita e di lavoro, deve prevedere la puntuale regolamentazione della collocazione oraria della prestazione con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno, restando comunque salva la possibilità – previo consenso del lavoratore – di introdurre clausole flessibili (che consentono di operare la variazione della collocazione temporale della prestazione la quale, quindi, resta identica per quanto attiene al numero di ore complessivamente lavorate, ma viene “spostata” in altra fascia temporale) e/o clausole elastiche (che consentono di aumentare la durata della prestazione lavorativa originariamente pattuita).
In base alla vecchia normativa (quella introdotta dalla L. n. 247/2007 in modifica del D.Lgs. n. 61/2000) era previsto un ruolo di regolamentazione fondamentale in capo alla contrattazione collettiva; di talchè in assenza della regolamentazione da parte del contratto collettivo applicabile, il datore di lavoro e il lavoratore non potevano concordare direttamente tra loro l’applicazione delle suddette clausole al contratto di lavoro a livello individuale.
Ora, con l’intervento della L. n. 183/11, le clausole flessibili ed elastiche “dovrebbero” rientrare nella piena disponibilità delle parti individuali del rapporto, seppur le stesse non siano regolate dal contratto collettivo applicato.
Il dubbio interpretativo che ci si pone è relativo alla disposizione di cui all’art. 3 D.Lgs. n. 61/2000, così come modificata dall’art. 22 L. n. 183/11, secondo cui: “i contratti collettivi stipulati dai soggetti indicati nell’art. 1, stabiliscono: 1) condizioni e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa; 2) condizioni e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la collocazione temporale della prestazione lavorativa; 3) i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa”.
Dunque, i soggetti di cui all’art. 1. D.Lgs. n. 61/2000 (ossia, le associazioni di datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nonché le rappresentanze sindacali aziendali di cui all’art. 19 L. n. 300/70) dovrebbero continuare a disciplinare le modalità di regolamentazione delle clausole flessibili ed elastiche, nonostante la ratio normativa sia quella di abolire il ruolo “preclusivo” svolto dalla contrattazione collettiva in tema di contratto a tempo parziale.
A tal punto, ci si chiede come si debbano comportare le parti nel caso in cui la contrattazione, nazionale o decentrata (a livello territoriale o aziendale), non prevedano nulla in merito alla disciplina degli elementi di flessibilità.
Il problema si pone tanto più se si considera che il disposto di cui al comma 2-ter, art. 8, D.Lgs. n. 61/2000, secondo cui “in assenza di contratti collettivi datore di lavoro e prestatore di lavoro possono concordare direttamente l’adozione di clausole elastiche o flessibili ai sensi delle disposizioni che precedono”, risulta, essere stata abrogata dall’art. 1 L. n. 247/07 e non è stata reintrodotta dalla Legge di stabilità, nonostante la ratio legislativa ne avrebbe imposto la “reviviscenza”.
In proposito, il Ministero del Lavoro ha fornito dei chiarimenti a seguito dei quesiti posti nell’ambito del Videoforum 2012 “Italia Oggi – Ipsoa”, ritenendo che dalla data di efficacia delle disposizioni della Legge di Stabilità, la materia relativa all’introduzione delle clausole flessibili o elastiche è riaffidata alle parti occorrendo “vedere cosa è scritto nel contratto individuale”, a nulla rilevando che il contratto collettivo di riferimento non preveda la disciplina specifica di tali istituti.
Ciò vale, secondo il Ministero del Lavoro, sia per i contratti da stipulare, sia per quelli già in essere, nei quali le parti potrebbero concordare di inserire clausole flessibili o elastiche.
Secondo tale interpretazione, le strutture socio – sanitarie che fanno applicazione sia del contratto del personale non medico Aris/Aiop sia del contratto Uneba i quali non disciplinano le clausole elastiche, potrebbero introdurle e disciplinarle a livello individuale; così come potrebbero introdurre clausole flessibili – le quali, allo stato, non sono regolamentate dalla contrattazione nazionale – le strutture che applicano il contratto collettivo Agidae.
Medesima considerazione dovrebbe essere fatta per le strutture che applicano il contratto del personale medico Aris/Aiop, il quale non disciplina né le clausole flessibili, né tantomeno quelle elastiche.
Tuttavia, la suddetta interpretazione, pur apparendo conforme rispetto allo spirito di flessibilizzazione e di semplificazione della Legge di stabilità, lascia ancora alcuni dubbi interpretativi che non emergono dalla risposta fornita dal Ministero.
Pertanto, in attesa che intervengano ulteriori chiarimenti in merito, sarà opportuno – prudenzialmente – limitarsi ad introdurre clausole flessibili o elastiche, soltanto se espressamente disciplinate dalla contrattazione collettiva applicabile.
Oltre alle suddette modifiche, l’art. 22 L. n. 183/11 prevede, nell’ottica di una maggiore semplificazione, altresì:
1) l’abolizione dell’obbligo di convalida presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente, in caso di trasformazione del contratto da full time a part time;
2) la riduzione da cinque a due dei giorni di preavviso che il datore di lavoro è obbligato a concedere al lavoratore in caso in cui via sia necessità di modificare l’orario di lavoro di quest’ultimo.