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Il lavoro a tempo determinato nella ricerca

13 Aprile 2016

Il Ministero del Lavoro, con nota n. 12 dell’11 aprile u.s., ha risposto ad un interpello formulato dall’Aris nel mese di luglio 2015 (a ridosso dell’entrata in vigore del Jobs Act) al fine di ottenere una rivisitazione, in un’ottica di maggiore flessibilità, delle interpretazioni precedentemente fornite in materia di lavoro a tempo determinato nel settore della ricerca.

Come noto, infatti, già con la legge 78/14, il Governo Renzi – nell’eliminare le c.d. causali giustificatrici e nell’estendere la durata massima di 36 mesi anche al “primo” contratto a termine – ha introdotto una deroga specifica per i ricercatori, prevedendo che “i contratti di lavoro a tempo determinato che abbiano ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica possono avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono”.
Tale norma, tuttavia, fu interpretata in modo estremamente restrittivo dal Ministero del Lavoro, il quale, con circolare n. 18/14, precisò che, affinché possa operare la suddetta deroga, era necessario, da un lato, che il datore di lavoro fosse “un istituto pubblico di ricerca o un ente privato di ricerca” e, dall’altro, che il lavoratore fosse “chiamato a svolgere in via esclusiva attività di ricerca, di assistenza tecnica o di coordinamento o direzione della stessa”.

La medesima circolare, inoltre, spiegò che la disposizione di cui sopra era idonea a derogare al limite di 36 mesi unicamente in caso di stipula di un solo contratto a termine, ritenendo invece prudenzialmente opportuno non superare la suddetta durata massima in caso di successione di più rapporti di lavoro.
In tale contesto, l’emanazione del Jobs Act (con la conseguente abrogazione del lavoro a progetto) ha reso quanto mai urgente richiedere un nuovo intervento ministeriale, al fine di sollecitare l’emanazione di un indirizzo interpretativo maggiormente flessibile.
A tale scopo, l’Aris, con la menzionata istanza di interpello – anche per contrastare i pareri di senso contrario di alcuni commentatori – ha chiesto al Ministero del Lavoro di precisare innanzitutto se la suddetta disposizione derogatoria (reiterata dal d.lgs. 81/15) fosse applicabile anche agli IRCCS.

Sul punto, il Ministero, accogliendo la ricostruzione dell’Aris, ha confermato che, anche ai fini dei contratto di lavoro a termine, gli IRCCS possono ben essere ben qualificati come enti privati di ricerca, così sconfessando il contrario indirizzo interpretativo prospettato da parte di parte della dottrina.
Tuttavia, nonostante le osservazioni svolte nell’interpello – dove è stato evidenziato che, nel settore sanitario, l’attività assistenziale dei ricercatori è assolutamente necessaria e, anzi, è parte integrante dello stesso progetto di ricerca – il Dicastero ha nuovamente enfatizzato il concetto di “esclusività” contenuto nella disposizione sopra citata, affermando pertanto di non poter considerare il regime derogatorio valido anche nei confronti dei “contratti aventi ad oggetto attività operative collegate al progetto di ricerca”.
Tale indicazione non sembra tuttavia cogliere nel segno; il Ministero, infatti, si riferisce ad attività “collegate” ai progetti di ricerca – e cioè complementari e non strettamente necessari agli stessi – mentre nel settore sanitario le attività assistenziali costituiscono spesso parte integrante della ricerca stessa.

E d’altronde, la norma non fornisce una definizione delle c.d. “attività di ricerca”, né è possibile includere al loro interno solamente quelle speculative o di laboratorio.
Per tale motivo l’Aris, nei prossimi giorni, invierà alla competente Direzione Generale una nuova istanza, al fine di ottenere precisazioni sul punto, auspicando una maggiore comprensione delle reali modalità di svolgimento della ricerca in ambito sanitario.
Le osservazioni ministeriali, inoltre, appaiono non condivisibili anche per quanto riguarda la disciplina della proroga.
Ed infatti, il Ministero del Lavoro ritiene inderogabile il rispetto della regola secondo cui le parti possono concordare solamente cinque proroghe nell’arco dei 36 mesi.

Pertanto, pur confermando che la proroga del contratto a tempo determinato avente ad oggetto attività di ricerca è possibile “anche quando la sua durata iniziale sia, in quanto legata alla durata del progetto di ricerca, superiore a 36 mesi”,  afferma poi, in modo incoerente, che “le eventuali  proroghe di un contratto avente ad oggetto attività di ricerca dovranno comunque intervenire entro il termine di 36 mesi, fermo restando che l’ultima proroga potrà determinare una durata complessiva superiore ai 36 mesi in quanto commisurata alla durata del progetto di ricerca”.
Infine, il Ministero del Lavoro nulla ha precisato in ordine alla derogabilità del termine di 36 mesi in caso di successione di più contratti a termine.
Al riguardo, nell’istanza di interpello si è rilevato come, dopo l’emanazione del d.lgs. 81/15, possano ormai considerarsi superati i dubbi avanzati dal Ministero con la citata circ. 18/14, evidenziando peraltro che, in caso contrario, si sarebbe frustrata la ratio stessa della legge, così ostacolando così la permanenza in Italia dei ricercatori, nonché il processo di “rientro dei cervelli” da lungo tempo in corso.
Anche su tale aspetto, pertanto, attesa l’assenza di precisazioni  l’Aris chiederà un nuovo parere al Ministero del Lavoro.

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