1 Marzo 2013
Mediante la recente circolare n. 7 del 20 febbraio 2013, il Ministero del Lavoro è intervenuto in merito alle modalità di utilizzazione del c.d. lavoro a progetto nelle realtà socio-assistenziali, ammettendo la possibilità che tale fattispecie contrattuale sia utilizzata al fine di realizzare, in tutto o in parte, l’oggetto sociale dei suddetti enti, ma imponendo condizioni difficilmente compatibili con il regime in cui gli stessi operano.
Al riguardo, si rammenta che – come già precisato in precedenti note – la c.d. Riforma Fornero (l. 92/2012), con l’intento di limitare il ricorso al lavoro a progetto, ha previsto la possibilità di utilizzare tale contratto di lavoro autonomo solamente per lo svolgimento di attività connotate dal raggiungimento di uno specifico risultato obiettivamente riscontrabile e non coincidente con l’oggetto sociale dell’impresa committente.
Di conseguenza, come già chiarito dalla circolare ministeriale n. 29/2012, a decorrere dal 18 luglio 2012, è legislativamente previsto che il progetto non possa identificarsi con l’oggetto sociale dell’impresa committente, ma debba “essere caratterizzato da una sua specificità, compiutezza, autonomia ontologica e predeterminatezza del risultato atteso e rappresentare una vera e propria “linea guida” contenente le modalità di esplicitazione dell’obbligazione del collaboratore”.
Nondimeno il Ministero, mediante la circolare in esame (emanata a seguito delle numerose richieste di chiarimenti formulate dagli operatori del settore), ha chiarito che – nell’ambito delle strutture socio-assistenziali – è possibile individuare “specifici progetti che, pur contribuendo al raggiungimento dello scopo sociale, se ne distinguono per una puntuale declinazione di elementi specializzanti”.
A tal fine, tuttavia, l’attività dei collaboratori deve essere connotata da rilevanti elementi di specificità, puntualmente declinati nel progetto, e deve essere finalizzata “al raggiungimento di un autonomo risultato conseguito attraverso una attività che presenti margini di autodeterminazione del prestatore, appare possibile l’utilizzo della tipologia contrattuale in esame”.
In particolare, la circolare esplicita che – in caso di accertamenti amministrativi (da parte delle DTL o degli enti previdenziali) – il personale ispettivo dovrà verificare la sussistenza delle seguenti condizioni:
1. assoluta determinatezza dell’oggetto dell’attività inteso anche come parte integrante del più generale obiettivo perseguito dall’organizzazione;
2. circoscritta individuazione dell’arco temporale per l’espletamento dell’attività progettuale in funzione dello specifico risultato finale;
3. apprezzabili margini di autonomia anche di tipo operativo da parte del collaboratore, obiettivamente riconoscibili nelle modalità di svolgimento della prestazione stessa ossia per lo svolgimento di compiti non meramente esecutivi;
4. possibilità di obiettiva verifica circa il raggiungimento dei risultati attesi.
In effetti, la presenza dei suddetti indici caratterizza la fattispecie del lavoro a progetto e, più in generale (ad eccezione della necessità di un termine prestabilito), i rapporti di lavoro autonomo, disciplinati dagli artt. 2222 e seguenti del codice civile.
Tuttavia, la circolare n. 7/2013, ritiene necessario – in aggiunta ai suddetti indici – che il collaboratore “determini unilateralmente e discrezionalmente, senza necessità di preventiva autorizzazione e successiva giustificazione, la quantità di prestazione socio/assistenziale da eseguire e la collocazione temporale della stessa”.
A dire il vero, tale ultima condizione appare incompatibile con le esigenze delle strutture socio-assistenziali, le quali, spesso, sono tenute dagli standards regionali per l’autorizzazione e l’accreditamento a garantire la presenza in servizio degli operatori per un numero minimo di ore settimanali (c.d. minutaggio), ed inoltre necessitano della presenza in servizio dei collaboratori, al fine di soddisfare le esigenze assistenziali e riabilitative degli ospiti.
Anche le ultime precisazioni del Ministero, pertanto – seppur apparentemente “permissive” nei confronti delle strutture socio-assistenziali – appaiono orientate a limitare al minimo il ricorso al lavoro a progetto, rendendolo utilizzabile solamente qualora il coordinamento con le strutture committenti sia solamente generico e meramente marginale.