5 Marzo 2021
Con nota del 1° marzo 2021, inviata alla Direzione Regionale Liguria al fine di fornire i chiarimenti richiesti dal Policlinico San Martino di Genova, l’INAIL ha precisato che i lavoratori che si rifiutino di sottoporsi a vaccinazione anti-COVID19, in caso di contagio, hanno comunque diritto alla tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro.
Secondo l’Istituto, infatti, “il rifiuto di vaccinarsi, configurandosi come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto ad un trattamento sanitario, ancorché fortemente raccomandato dalle autorità, non può costituire una ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa dell’infortunato”.
Continua, pertanto, il bailamme su tale argomento, delicatissimo in ragione degli interessi coinvolti (e contrapposti) – come, ad esempio, il diritto alla salute, la sicurezza sul lavoro e la libertà di iniziativa economica, la privacy, etc. – già oggetto dei precedenti approfondimenti del 25 gennaio, del 18 febbraio e del 2 marzo u.s.
Le conclusioni cui è pervenuto l’Istituto, tuttavia, non devono ingannare.
Ed infatti, era prevedibile che l’INAIL confermasse la sussistenza del diritto alle prestazioni per infortunio anche in caso di rifiuto del dipendente a vaccinarsi, essendo ormai pacifico che l’eventuale concorso del lavoratore al verificarsi dell’evento lesivo non esclude di per sé l’indennizzabilità dell’infortunio, salvo che si tratti di comportamenti del dipendente abnormi, inopinabili ed esorbitanti rispetto al procedimento lavorativo (cd. rischio elettivo; cfr. 3763/2021).
Pertanto, l’Ente assicuratore si è limitato ad applicare tale principio, affermando che il rifiuto di sottoporsi al vaccino non integra gli estremi del cd. rischio elettivo in quanto “il rischio di contagio non è certamente voluto dal lavoratore e la tutela assicurativa opera se e in quanto il contagio sia riconducibile all’occasione di lavoro”.
La nota INAIL, inoltre, precisa che devono essere tenute distinte le “questioni (…) attinenti (…) agli obblighi di prevenzione del datore di lavoro e di collaborazione del lavoratore (art. 2087 cod. civ. e artt. 266, 279 e 20 del decreto legislativo n. 81/2008), da quelli riguardanti la tutela del lavoratore che ha contratto il contagio da SARS-CoV-2 in occasione di lavoro” e che “il comportamento colposo del lavoratore, tra cui rientra anche la violazione dell’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale, non comporta di per sé l’esclusione dell’operatività della tutela prevista dall’assicurazione Inail”.
Tale ultima argomentazione appare di assoluto rilievo per l’acceso dibattito in corso in tutti gli ambienti di lavoro – e, in particolare, nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private – circa le conseguenze sul rapporto di lavoro del rifiuto del lavoratore (soprattutto se non motivato da ragioni sanitarie) di sottoporsi al vaccino.
Se infatti il vaccino anti-COVID19 può essere qualificato come DPI, la mancata inoculazione dello stesso impone serie valutazioni, da parte del datore di lavoro (coadiuvato dagli altri soggetti di cui al d.lgs. 81/2008), circa l’eventuale allontanamento dalle fonti di rischio.
In tale contesto, deve ribadirsi la funzione fondamentale del Medico Competente, cui è affidato il compito sia di fornire corrette informazioni sui vaccini e di valutare in sede anamnestica le ragioni dell’eventuale rifiuto del personale, sia di verificare l’idoneità del lavoratore alle specifiche mansioni svolte, tenendo conto dei rischi insiti nelle stesse e della complessiva situazione del dipendente.
Download Il lavoratore che non si vaccina ha diritto alla tutela INAIL in caso di contagio