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Il Garante della Privacy interviene sui diritti dei lavoratori soggetti ad attività investigativa

31 Ottobre 2023

Il Garante della Privacy, con il provvedimento n. 290 del 6 luglio 2023, chiarisce quali siano i diritti dei lavoratori nel caso in cui sia stata disposta, su incarico del datore di lavoro, una attività investigativa nei loro confronti.

Al riguardo, si rammenta che è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il datore di lavoro possa controllare i propri dipendenti mediante soggetti esterni, quindi anche avvalendosi di un’agenzia investigativa, sebbene il controllo non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera (cfr. Cass. n. 15094/2018; Cass. n. 25287/2022).

Sulla scia del suddetto principio di diritto, è stato ritenuto legittimo il controllo del dipendente durante i periodi di sospensione del rapporto (ad esempio in caso di malattia), al fine di consentire al datore di lavoro di prendere conoscenza di comportamenti del lavoratore, che – pur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa – siano rilevanti sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto, che permane nonostante la sospensione.

In estrema sintesi, secondo la giurisprudenza, le agenzie investigative per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, ma limitarsi ad un controllo di attività estranee allo svolgimento della prestazione.

È in tale contesto che si inserisce il provvedimento del Garante della Privacy, a seguito di un reclamo di un dipendente al quale era stato negato dalla società datrice di lavoro l’accesso alla relazione investigativa utilizzata per formulare una contestazione disciplinare, cui era seguita la risoluzione del rapporto di lavoro.

Solo con il giudizio di impugnazione del licenziamento, il dipendente era venuto a conoscenza del contenuto della relazione investigativa dalla quale erano stati tratti riferimenti specifici inseriti nella contestazione, atteso che alle varie richieste del lavoratore la società datrice di lavoro aveva risposto negativamente sostenendo che erano troppo generiche e che fosse necessario indicare nel dettaglio le informazioni per le quali si chiedeva l’accesso. 

Con il provvedimento in commento il Garante ha chiarito che, ai sensi dell’art. 12 e 15 del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (UE) n. 2016/679, il datore di lavoro ha l’obbligo di fornire al lavoratore tutti i dati raccolti con la relazione investigativa, anche quelli che non erano stati inseriti nella contestazione disciplinare, in quanto tali informazioni avrebbero potuto essere utili per l’esercizio del diritto di difesa. 

Al riguardo, l’Autorità segnala che l’art. 15 del Regolamento, quanto all’oggetto del diritto di accesso, ricomprende tutte le “categorie di dati personali” nonché “qualora i dati non siano raccolti presso l’interessato, tutte le informazioni disponibili sulla loro origine”.

Quindi, nel caso esaminato, la società datrice di lavoro, riscontrando le istanze del lavoratore, avrebbe dovuto fornire tutte le informazioni reperite tramite la relazione investigativa, contenente anche categorie di dati (fotografie, una rilevazione Gps, descrizioni di luoghi, persone e situazioni) che non sono state riportate nella contestazione disciplinare, indicando anche la loro origine. Con riferimento alle modalità di accesso ai dati personali, infine, l’Autorità precisa che il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (UE) n. 2016/679 non dispone alcunché in merito alla forma della richiesta dell’interessato e non vi sono, in linea di principio, requisiti che gli interessati debbano osservare nella scelta del canale da utilizzare.

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