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Il diritto allo smart working alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali

10 Luglio 2020

Nel contesto emergenziale da Covid-19 lo smart working è diventato la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa.

Tale spinta verso il lavoro agile ha trovato legittimazione dapprima nei vari DPCM che hanno costantemente ripetuto l’invito ai datori di lavoro a ricorrere a tale modalità lavorativa; successivamente l’art. 39 del decreto cd. Cura Italia (d.l. n. 18/2020) ha previsto, per i lavoratori con familiari disabili gravi, il diritto di rendere la prestazione lavorativa in smart working e l’art. 90 del cd. decreto Rilancio (d.l. n. 34/2020) ha riconosciuto, nei confronti dei genitori dipendenti del settore privato con almeno un figlio minore di 14 anni, il diritto – se non altro fino al prossimo 31 luglio, data (presunta) di cessazione dello stato di emergenza – di prestare la propria attività lavorativa in modalità agile, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno ovvero che non vi sia un genitore non lavoratore.

Tali disposizioni, nonostante il breve lasso temporale intercorso, sono state oggetto di interpretazione da parte della giurisprudenza di merito che ha tentato di delineare la portata (ed i limiti) del diritto al lavoro agile.

In particolare, il Tribunale di Grosseto, lo scorso 23 aprile, ha stabilito che è illegittima la condotta del datore di lavoro che rigetti la richiesta del dipendente, affetto da disabilità, di essere ammesso al lavoro agile, prospettandogli la scelta tra la sospensione non retribuita del rapporto ed il godimento forzato di ferie peraltro non ancora maturate.

Il Tribunale non ha avuto dubbi nel ritenere che il lavoratore avesse il diritto di essere autorizzato al lavoro da remoto, se non altro perché tale modalità era stata accordata ad altri colleghi del suo reparto.

Nello stesso senso si è espresso il Tribunale di Roma che, con ordinanza del 20 giugno scorso, ha accolto il ricorso d’urgenza di una dipendente di un’azienda sanitaria locale, assegnata temporaneamente alla Task Force di sorveglianza sulla diffusione del Covid-19, che aveva impugnato il provvedimento di rigetto della propria domanda, giustificata dalla necessità di poter assistere il figlio disabile.

Per gli operatori della sanità il diritto (individuale) alla tutela della salute va contemperato con il diritto alla tutela della salute della collettività sebbene sia necessario, ad avviso del giudice capitolino, operare un bilanciamento equilibrato tra le due esigenze, che, nel caso specifico, ha portato a ritenere le esigenze familiari di cui l’operatrice socio-sanitaria è portatrice prevalenti rispetto alle necessità del servizio sanitario pubblico.

Nondimeno, il Tribunale di Mantova, con il recente decreto n. 1054 del 28 giugno 2020, ha specificato che condizione necessaria per l’esercizio del sopra menzionato diritto sia la compatibilità della modalità agile con le caratteristiche della prestazione che è richiesta al lavoratore, posto che lo smart working non si configura come diritto assoluto ma incontra un limite incontrovertibile nella peculiarità delle mansioni oggetto del rapporto di lavoro.

Il Tribunale ha così rigettato il ricorso presentato da un dipendente di una multinazionale che aveva chiesto – e non ottenuto – lo smart working ai sensi dell’art. 90 del d.l. n. 34/2020.

Nella specie, è stato accertato che le mansioni del ricorrente, ingegnere incaricato di gestire la progettazione di alcuni parcheggi nonché Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, “risultano caratterizzarsi – quanto meno in misura rilevante se non prevalente – per la necessità della presenza fisica del dipendente”.

Pertanto, il Giudice ha ritenuto che nella fattispecie non sussistesse il requisito della compatibilità tra le mansioni svolte e la modalità agile, giustificando il diniego dello smart working operato dall’azienda.

E’ evidente, infatti, che il diritto al lavoro agile debba essere comunque subordinato alle esigenze dell’attività svolta, non essendo esercitabile, viceversa, laddove risulti incompatibile con le caratteristiche proprie della prestazione.

Di conseguenza, il datore di lavoro può negare il diritto del dipendente allorquando dimostri, come nel caso oggetto della pronuncia mantovana, la incompatibilità tra le caratteristiche della prestazione lavorativa e la modalità di lavoro da remoto.

In tal senso, sebbene con esito opposto in giudizio, si era già espresso il Tribunale di Bologna (decreto 2759 del 23 aprile 2020), secondo cui, in base all’articolo 39 del d.l. Cura Italia, deve riconoscersi il diritto della lavoratrice invalida al 60% e madre di una ragazza con disabilità grave a ottenere un ordine in via cautelare per lo svolgimento del lavoro in modalità agile, considerato che le sue mansioni (impiegata II livello del commercio) possono essere svolte con l’uso del telefono e con strumenti informatici e che uscire da casa per recarsi al lavoro la espone – nel tempo occorrente per una pronuncia di merito – a un grave rischio per la salute sua e della figlia.

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