27 Ottobre 2023
Tutti i ccnl prevedono più o meno ampi periodi di comporto, vale a dire quell’intervallo temporale di conservazione del posto di lavoro per il dipendente malato durante il quale non è possibile procedere al suo licenziamento.
Può capitare che i lavoratori assenti per malattia chiedano di poter usufruire di un periodo di ferie così da evitare il perfezionamento del periodo di comporto e impedire che il datore di lavoro possa esercitare la facoltà di recesso riconosciuta dalla legge.
Che obblighi ha il datore di lavoro a riguardo?
In primo luogo occorre ricordare che la determinazione del periodo in cui godere delle ferie è attribuita, dall’art. 2109 del codice civile, al datore di lavoro, il quale – dunque – ha un potere di natura discrezionale benché, nell’individuazione di tale periodo, debba comunque contemperare le esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore, in modo tale da non porre in essere un’organizzazione complessiva ingiustificatamente gravosa per lo stesso.
Ciò premesso, la giurisprudenza – che spesso interviene a fornire utili chiarimenti sulla più corretta interpretazione delle norme – si è espressa sul punto varie volte (seppure, in alcuni casi, in maniera contrastante).
Secondo l’interpretazione prevalente, il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie (così, ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 14.9.2020, n. 19062).
È evidente che si tratta, dunque, di una facoltà che il lavoratore può esercitare e non già di un diritto potestativo del dipendente a tramutare il titolo dell’assenza da malattia a ferie.
Con la recente sentenza del 21 settembre 2023 n. 26997, i giudici di legittimità hanno, infatti, specificato che «Il lavoratore assente per malattia non ha incondizionata facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, quale titolo della sua assenza, allo scopo di interrompere il decorso del periodo di comporto, ma il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell’assenza per malattia in ferie, e nell’esercitare il potere, conferitogli dalla legge (art. 2109, comma 2, c.c.), di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell’ambito annuale armonizzando le esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore, è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguata alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto…».
In sostanza, la Cassazione ha chiarito che il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell’assenza per malattia in ferie – e nell’esercitare il potere, conferitogli dalla legge (art. 2109 c.c., comma 2), di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell’ambito annuale armonizzando le esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore – è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguata alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto.
Tuttavia, un obbligo del datore di lavoro ad accogliere la richiesta di ferie non è ragionevolmente configurabile soprattutto allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto e, in particolare, quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto nella contrattazione collettiva, a tal fine, il collocamento in aspettativa, seppure non retribuita.