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Forme anomale di tutela sindacale: sciopero delle mansioni e blocco degli straordinari

15 Marzo 2013

L’attuale clima di forti tensioni sociali, unito alla crisi che ha investito tutti i settori produttivi e che ha portato ad uno stallo degli stipendi (se non ad una loro riduzione), ha riportato alla ribalta alcune forme di lotta sindacale “atipiche” (e non sempre legittime), attraverso le quali i sindacati si propongono di creare un “disagio” al datore di lavoro, garantendo – tuttavia – ai lavoratori la conservazione della retribuzione.

E’ questo il caso, ad esempio, del cd. sciopero delle mansioni e del blocco degli straordinari, spesso annunciati con troppa superficialità da lavoratori e sindacati a livello locale, senza tenere in considerazione che nell’ambito dei servizi pubblici essenziali (tra i quali rientra anche la sanità) esiste una specifica disciplina volta a tutelare diritti ritenuti preminenti rispetto al diritto di sciopero (quale, nella fattispecie, quello alla salute).
Segnatamente, il cd. sciopero delle mansioni è definito da autorevole dottrina come rifiuto collettivo di compiere determinate mansioni o anche come rifiuto da parte dei lavoratori di svolgere solo alcuni dei compiti che sono loro affidati dall’imprenditore.
Sulla legittimità di una simile forma di protesta si erano delineati in passato due orientamenti: il primo, partendo dalla definizione di sciopero “quale astensione collettiva dal lavoro disposta da una pluralità di lavoratori per il raggiungimento di un fine comune per una determinata unità temporale, con corrispondente perdita della relativa retribuzione”, aveva ritenuto del tutto irrilevanti le modalità di effettuazione dello sciopero, considerando illegittime solo le forme di protesta che comportassero la distruzione (anche parziale) o una duratura inutilizzabilità degli impianti, mettendo in pericolo la loro integrità, con conseguenti effetti negativi sulla possibilità del datore di lavoro di contenere il normale livello occupazionale della propria impresa.

Secondo tale filone giurisprudenziale, in particolare, la realizzazione di questa particolare forma di protesta avrebbe avuto l’esclusiva conseguenza, per i lavoratori, di subire una decurtazione della retribuzione di un importo corrispondente all’equivalente, in termini monetari, dell’adempimento rifiutato, mentre qualsiasi atto del datore di lavoro diretto ad impedirne o limitarne l’esercizio o a paralizzarne gli effetti si sarebbe configurato come antisindacale ai sensi dell’art. 28 l. 300/70 (Cass. 2840/84, 11147/99).
Il secondo orientamento, sostenuto dalla prevalente dottrina e dalla più recente giurisprudenza (Cass. 548/2011), non considera invece la forma di lotta in questione assimilabile allo sciopero, come sopra definito, dal momento che nel caso di specie difetterebbe la sua principale caratteristica, ossia l’astensione dal lavoro.
A ciò si aggiunga che, come correttamente rilevato dai giudici, il lavoratore, anche in fase di protesta, non può selezionare i compiti da svolgere e quelli da sospendere, in modo da operare una decurtazione unilaterale di più elementi della prestazione lavorativa contrattualmente dovuta o, comunque, un’alterazione della sua qualità.

Pertanto, secondo l’orientamento ormai prevalente della giurisprudenza, l’esecuzione parziale della prestazione lavorativa deve essere ritenuta idonea a realizzare un inadempimento contrattuale che non può mai essere considerato una forma di astensione collettiva dal lavoro rientrante nella nozione di sciopero, anche quando venga qualificato come tale dalle organizzazioni sindacali.
Seguendo questa opzione interpretativa, lo sciopero delle mansioni si pone al di fuori dello spettro di tutela dell’art. 40 della Costituzione e si configura come un inadempimento contrattuale tale da legittimare il datore di lavoro a rifiutare la prestazione parziale offertagli dai lavoratori e, se del caso, ad assumere i necessari provvedimenti disciplinari nei loro confronti (Cass. 2214/1986, 17995/2003).
In particolare, secondo quanto chiarito dai giudici di legittimità (in conformità a quanto stabilito dalla Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, cfr. prov. del 7 marzo 2002), posto che alle forme di lotta sindacale comunque denominate che determinino un deficit di un servizio pubblico essenziale ed un conseguente pregiudizio per tutti gli utenti, si applica la l. 146/1990, ciò, tuttavia, non esclude il concorrente ed autonomo potere disciplinare del datore di lavoro in relazione a quelle forme di lotta sindacale, come l’astensione collettiva da alcune mansioni, che non essendo riconducibili alla nozione di sciopero non godono della tutela desumibile dall’art. 40 Cost. (Cass. 548/2011).
Per quanto sopra, in caso di attuazione del cd. “sciopero delle mansioni” nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, i lavoratori si espongono non solo al potere disciplinare della Commissione di garanzia, ma anche a quello del datore di lavoro.
Considerazioni in parte diverse valgono per il cd. “blocco dello straordinario”, il quale – secondo il risalente orientamento della giurisprudenza – costituisce una forma di lotta sindacale legittima, in quanto equiparata allo “sciopero in senso tecnico” (Trib. di Milano, 20 marzo 1999).

Tale qualificazione del rifiuto di svolgere l’attività in orario straordinario comporta, da un lato, l’impossibilità per il datore di lavoro di intervenire fattivamente per impedire lo svolgimento di tale forma di protesta (tale condotta potrebbe, infatti, essere giudicata antisindacale, ai sensi dell’art. 28 l. 300/70); dall’altro implica “la conseguente applicazione dei principi limitativi della legge n. 146/90 e l’illegittimità di tale astensione in caso di mancata preventiva indicazione della sua durata” (in tal senso Pret. Bologna, 14 marzo 1994, Pret; Pisa, 14 dicembre 1998; cfr. Relazione ufficiale sull’attività della Commissione di Garanzia, 1° agosto 1996 – 30 aprile 1997).

Di conseguenza, anche per l’attuazione del blocco degli straordinari sarà necessario il rispetto delle garanzie di cui alla legge n. 146/90 (comunicazione preventiva, obbligo di preavviso, durata, procedure conciliative, etc.), risultando, invece, del tutto illegittima la proclamazione “ad oltranza” (come spesso avviene) di tale forma di protesta.
Corollario della qualificazione quale sciopero del “blocco degli straordinari” sarà che – in caso di mancato esperimento della procedura o del rispetto dei limiti previsti legge n. 146/90 e s.m.i. – il rifiuto dei lavoratori di prestare la loro attività oltre il normale orario di lavoro (in presenza delle specifiche e straordinarie esigenze tecnico-produttive poste alla base dello straordinario, a norma dell’art. 5 del d.lgs. n. 66/2003) potrà essere considerato illegittimo e dare luogo alle specifiche sanzioni previste dalla predetta legge in capo al sindacato e/o ai singoli lavoratori, a seconda delle rispettive responsabilità.

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