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Ferie non autorizzate e licenziamento.

27 Luglio 2018

L’esatta determinazione del periodo feriale, ai sensi dell’art. 2109 c.c. spetta unicamente al datore di lavoro, il quale – nell’esercizio del potere organizzativo e direttivo dell’impresa – ha diritto di stabilire modi e tempi di godimento delle ferie, tenuto conto delle esigenze aziendali e degli interessi del singolo lavoratore, il quale ha la facoltà di indicare il periodo entro il quale intenda fruire del riposo annuale.

Il godimento di ferie deve, pertanto, essere preventivamente autorizzato ed, in mancanza di autorizzazione, è idoneo a configurare un’assenza ingiustificata che molti contratti collettivi configurano, ove si protragga per un certo numero di giorni, quale giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

Quanto sopra è confermato da un orientamento giurisprudenziale costante a mente del quale «il godimento delle ferie deve essere sempre autorizzato dal datore di lavoro, anche dopo l’anno cui le stesse si riferiscono … Deve, pertanto, ritenersi legittimo il licenziamento per giusta causa intimato nei confronti della dipendente che si assenti arbitrariamente dal posto di lavoro per fruire, dopo l’anno di riferimento, di ferie arretrate non autorizzate» (cfr ex multis Cass sentenza n. 11028/1996).

Già in passato, con la news del 13 febbraio 2015, si era evidenziato come, a parere dei giudici di legittimità (cfr Cass. n. 21918/2014), pur potendo presupporsi un adeguato contemperamento delle diverse esigenze in gioco, al lavoratore non può giammai riconoscersi, in assenza di una specifica autorizzazione in tal senso, un diritto all’arbitraria auto assegnazione del periodo di ferie desiderato, ancorché espressamente comunicato alla parte datoriale.

La recente ordinanza del 6 luglio 2018 n. 17885 offre l’occasione per approfondire ulteriormente la tematica concernente le modalità di richiesta e la conseguente concessione dei periodi feriali maturati dal lavoratore.

In particolare tale pronunzia precisa che, malgrado il lavoratore sia riuscito a provare la propria buone fede (presupponendo di essere stato autorizzato al godimento delle ferie), gli Ermellini hanno rigettato il suo ricorso confermando la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento comminato.

In particolare, il lavoratore aveva dedotto di essersi trovato in una situazione psicologica di incolpevole buona fede avendo confidato che l’autorizzazione alla fruizione del periodo feriale rilasciata oralmente al fratello (dipendente della medesima azienda ed interessato allo stesso periodo di ferie necessitate dalla partecipazione di entrambi ad un matrimonio) concernesse anche la sua posizione.

Al proposito la Cassazione ha rilevato come le giustificazioni rese dal lavoratore in sede disciplinare, seppure volte a dimostrare la sua buona fede in merito alla convinzione di essere autorizzato ad assentarsi, non erano tuttavia idonee a fornire la prova positiva della autorizzazione, che – dunque – difettava, non essendo stato effettivamente accordato al lavoratore alcun permesso.

Dunque, sulla scorta di tali considerazioni, i giudici di legittimità hanno avvalorato la pronunzia dei giudici di merito che avevano ritenuto legittimo il licenziamento in virtù dell’oggettiva mancanza dell’autorizzazione al godimento delle ferie, ritenendo sussistente, nella condotta del lavoratore, profili di gravità tali da incidere sull’obbligo di fedeltà e diligenza a fronte di un’assenza che si era protratta, non solo per il week end, ma per un lungo periodo di tempo, senza alcuna certezza sul rilascio dell’autorizzazione e priva di iniziativa alcuna da parte del lavoratore per la verifica della regolarità dell’assenza.

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