11 Aprile 2014
La Corte Costituzionale torna, ancora una volta, a pronunciarsi in tema di congedo spettante ai lavoratori al fine di assistere i familiari affetti da handicap grave accertato ai sensi dell’art. 4 della legge 104/92, ovvero quello disciplinato dall’art. 42 del d.lgs. n. 151/2001, il quale sancisce subordinatamente (cioè secondo una tassativa elencazione graduata degli aventi causa) il diritto del coniuge convivente di un soggetto con handicap, ovvero quello del padre o della madre anche adottivi, o ancora quello di uno dei figli conviventi ed infine quello dei fratelli o sorelle conviventi (sempre che i primi soggetti legittimati siano mancanti o affetti da patologie invalidanti) di fruire di un congedo retribuito della durata massima di due anni (utilizzabile anche frazionatamente).
Tale diposizione legislativa ha subito, nel corso del tempo, varie modifiche a seguito di numerosi interventi della Corte Costituzionale, la quale già in passato, con la sentenza n. 233/2005, aveva dichiarato l’illegittimità della norma contenuta nell’art. 42, 5° comma, del d.lgs. n.151/2001 nella parte in cui non prevedeva il diritto del fratello o della sorella conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità di fruire di detto congedo, laddove i genitori fossero stati impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio portatore di handicap perché totalmente inabili.
A seguito di tale pronuncia, la norma in esame ha esteso il diritto al congedo straordinario retribuito anche ai fratelli o le sorelle conviventi con il soggetto portatore di handicap sia in caso di morte dei genitori, sia nell’ipotesi di totale inabilità di entrambi i genitori (o di uno solo se l’altro è deceduto).
Successivamente i giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto illegittimo l’art.42, 5° comma, del predetto decreto nella parte in cui non stabiliva in via prioritaria – rispetto agli altri congiunti indicati dalla norma (ovvero genitori e fratelli)-il diritto del coniuge convivente con soggetto affetto da handicap grave di fruire del congedo ivi indicato (cfr sentenza Corte Costituzionale n. 158/2007).
Ancora una volta, con la sentenza del 30 gennaio 2009 n.19, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, 5° comma, del d.lgs. n.151/2001 nella parte in cui non includeva – nell’ambito dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto – il figlio convivente.
Infine, con la più recente sentenza del 3 luglio 2013 n.203, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di tale disposizione legislativa nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il “parente o affine entro il terzo grado convivente”, sempre nel presupposto che non vi siano, ovvero siano impossibilitati perchè affetti da patologie gravi, altri familiari idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave.
A parere dei giudici delle leggi, il nostro ordinamento già assicura un rilievo giuridico ai legami di parentela e di affinità entro il terzo grado a determinati fini (si pensi ad esempio ai tre giorni di permesso mensile ex art.33 della legge n.104/1992 cui gli stessi hanno diritto qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti), ragion per cui non riconoscere a tale tipologia di parenti o affini il diritto a godere del congedo straordinario in questione costituirebbe una “asimmetria normativa che costituisce un sostegno alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’omessa menzione di tali soggetti tra quelli legittimati a richiedere il congedo straordinario”.
Dunque si assiste ad un ulteriore allargamento della sfera dei destinatari di tale tipologia di congedo, seppure trattasi di un diritto il cui utilizzo, come sopra esposto, non è “immediato” ma è subordinato all’assenza di altri soggetti prioritariamente legittimati ad usufruire del congedo.
Si rammenta, in proposito, che l’indennità dovuta al lavoratore durante il godimento di tale congedo (pari, per il 2014, alla somma di € 47.351,00), seppure anticipata dal datore di lavoro è a carico dell’INPS, posto che i datori di lavoro detraggono l’importo dell’indennità dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti all’ente competente.