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Discrezionalità solo su criteri oggettivi in merito al premio di produzione

20 Marzo 2015

La sentenza 4911 del 3 marzo 2014 della Suprema Corte di Cassazione ha ribadito ancora una volta la possibilità del datore di lavoro di elargire premi di produttività solamente ad alcune categorie di lavoratori, purché ciò dipenda non da un intento discriminatorio, ma da ragioni oggettive.

La controversia in questione vedeva l’INPS contrapposto ad un istituto di credito che -in applicazione della previsione del contratto collettivo- aveva attribuito tale riconoscimento economico ai soli lavoratori assunti a tempo indeterminato.
Nello specifico l’Istituto previdenziale ha contestato il mancato versamento dei contributi, inerenti a premi di produzione non erogati a lavoratori assunti a tempo determinato; in particolare I’INPS -sul presupposto che sia inammissibile una discriminazione tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato- riteneva automatico un adeguamento delle clausole contrattuali reputate discriminatorie, e quindi dovuti i premi di produzione (e i relativi contributi) anche per questi lavoratori.

Per legittimare le proprie pretese l’INPS si è basato sul combinato disposto di tre norme: l’art. 6 dlgs. 368/2001 (parità di trattamento tra i lavoratori assunti a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato) , l’art. 1339 c.c. (inserzione automatica della clausola imposta dalla legge) e l’art.1 d.l. 338/1989 (premio di produzione soggetto a contribuzione).
L’istituto di credito, per giustificare la propria condotta, ha richiamato il contratto collettivo nel quale erano ben esposti i requisiti per accedere a tale premio: una valutazione positiva della performance di lavoro e la continuità della stessa (argomentando come quest’ultima fosse non compatibile con la natura del contratto a tempo determinato).

La Suprema Corte ha rigettato le richieste dell’Ente previdenziale per una serie di motivazioni :
–    al contrario di quanto sostenuto dall’INPS, l’art. 6 del dlgs.368/2001 sancisce non un principio di parità di trattamento tra i lavoratori, ma invece un principio di non discriminazione verso i lavoratori assunti a termine, derogabile solamente per questioni che siano oggettivamente incompatibili con la natura del contratto;
–    è da ritenersi oggettiva e legittima l’incompatibilità di una prestazione a tempo determinato con il requisito (fondamentale per accedere al premio di produzione) della continuità della performance;
–   il premio di produzione è da considerarsi come retribuzione eventuale soggetta a prerequisiti che (seppur oggettivi e necessariamente riconoscibili dai possibili destinatari) possono essere scelti in maniera discrezionale dal datore di lavoro.
Quanto sopra detto, ovviamente, non fa venir meno l’obbligo di versamento delle somme contributive inerenti ai premi di produzione, qualora questi vengano invece effettivamente percepiti dai lavoratori a tempo determinato.
La sentenza offre comunque molti spunti di riflessione:
–    non esiste, nel nostro ordinamento, alcun principio di parità di trattamento tra lavoratori, vigendo solamente il principio di non discriminazione , il quale prevede solamente una tutela antidiscriminatoria, ma non obbliga il datore di lavoro ad adottare integralmente la stessa condotta con tutti (es. non vi è l’obbligo di retribuire allo stesso modo lavoratori che svolgano medesime mansioni).
Nel caso concreto, bisogna convenire, la differenza tra i due principi è di difficile lettura: ciò ben giustifica quindi l’intervento giudiziale dell’INPS, il quale, oltre all’ aver adempiuto all’ obbligo precipuo di tutela e assistenza verso i lavoratori, se fosse risultato vittorioso in giudizio avrebbe potuto richiedere contributi su varie fattispecie analoghe;
–    altra riflessione può essere fatta su natura e scopo del premio di produzione: esso può essere inteso, oltre che come ricompensa nei confronti dei lavoratori che abbiano proficuamente svolto le proprie mansioni e conseguiti gli obiettivi prefissati, anche come incentivo a proseguire con lo stesso impegno (visti anche gli scarsi mezzi punitivi in possesso del datore di lavoro verso atteggiamenti negligenti non particolarmente gravi).

Per tali considerazioni, deve condividersi la lettura operata dalla Suprema Corte e, quindi, ritenersi inammissibile un obbligo di corrispondere il premio di produzione a tutte le categorie di lavoratori, ed invece ammissibile la facoltà del datore di lavoro di non erogare tale premio alle categorie di lavoratori che non si intendono incentivare.

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