8 Febbraio 2022
La Suprema Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 2246 del 26 gennaio 2022, torna a pronunciarsi sul licenziamento del dirigente e in particolare sul concetto di “giustificatezza”.
Prima di addentrarsi nel merito della vicenda sottoposta all’esame dei Giudici di Piazza Cavour, si ricorda che per la legittimità del licenziamento del dirigente non è richiesta necessariamente l’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo (oggettivo o soggettivo), ma è sufficiente la semplice “giustificatezza” dello stesso.
La nozione di “giustificatezza” è del tutto autonoma e svincolata da quella di giusta causa o di giustificato motivo, con la conseguenza che fatti o condotte non integranti un valido motivo di licenziamento per la generalità dei rapporti di lavoro di natura subordinata ben possono, invece, giustificare la cessazione del rapporto di lavoro dirigenziale, in quanto in tale caso i maggiori poteri affidati al collaboratore presuppongono una maggiore intensità della fiducia e uno spazio più ampio delle possibili condotte idonee a farla venire meno.
Inoltre, non applicandosi nei confronti dei dirigenti il regime di tutela reale di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (salvi i casi di licenziamento discriminatorio, ritorsivo o di nullità previsti ex lege), nel caso in cui il provvedimento espulsivo fosse privo di giustificatezza, il dirigente non avrebbe diritto alla reintegra nel posto di lavoro, ma esclusivamente alla corresponsione di un’indennità economica (chiamata “indennità supplementare”), la cui determinazione è generalmente affidata alla contrattazione collettiva.
La vicenda sottoposta al giudizio di legittimità trae origine dal provvedimento espulsivo adottato nei confronti di un dirigente, a seguito dell’esternazione via mail del proprio rammarico all’azienda datrice di lavoro.
In particolare, con la citata comunicazione il dirigente aveva usato i seguenti termini: “Voi avete tradito la mia fiducia e buona fede e non so quanto potrò andare avanti a sopportare questo vostro comportamento che giudico inqualificabile”.
Il lavoratore impugnava il licenziamento ritenendolo illegittimo perché non sorretto da una giusta causa e chiedeva la condanna del datore di lavoro al pagamento dell’indennità supplementare, nonché di quella sostitutiva del preavviso.
Dopo la sentenza favorevole ottenuta dal lavoratore in primo grado, in cui veniva accertato il difetto di giusta causa, la Corte d’Appello territorialmente competente confermava la sentenza del Tribunale, precisando tuttavia che la condotta del dirigente, pur non integrando la giusta causa di licenziamento, consentiva di ritenere configurata – alla luce del ruolo apicale e della conseguente intensità del vincolo fiduciario – la nozione di giustificatezza, e di conseguenza non era dovuta l’indennità supplementare.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in sede di gravame, nel dare continuità all’ormai consolidato orientamento – in base al quale “ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente” (ex multis Cass. n. 34736 del 30/12/2019), sicché assume rilevanza qualsiasi motivo che sorregga, con motivazione coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto, il recesso (Cass. n. 6110 del 17/03/201)” – ha ritenuto la motivazione dei giudici di secondo grado congrua in ordine alla ritenuta giustificatezza del motivo che ha fondato il provvedimento espulsivo.
La Suprema Corte, infatti, ha concordato con le argomentazioni fornite dalla Corte di Appello, rilevando che il turbamento del vincolo fiduciario nell’ambito del rapporto lavorativo risulta essere tanto più intenso quanto più elevato è il ruolo del dipendente (quindi, a maggior ragione, se si tratta di un dirigente), il tutto in conformità a una valutazione delle condotte delle parti alla stregua dei criteri di correttezza e buona fede.