2 Ottobre 2018
Sembrava che le Sezioni Unite della Cassazione avessero chiarito una volta per tutte (cfr. news 5 gennaio 2018)che la tardività della contestazione disciplinare dovesse dar luogo alla sola tutela obbligatoria; invece la Sezione Lavoro della Suprema Corte, con sentenza n. 21569 del 3 settembre 2018, disattendendo le indicazioni delle Sezioni Unite, ha nuovamente ricompreso la tardività nel campo di applicazione della tutela reale.
La vicenda riguarda un lavoratore a cui era stato comunicato il licenziamento oltre il termine previsto dalla contrattazione collettiva.
Dopo una prima pronuncia favorevole al lavoratore, il giudice dell’opposizione e la Corte d’Appello avevano accordato la sola tutela indennitaria, avendo accertato nel merito l’illegittimità della condotta tenuta dal dipendente e, pertanto, l’inapplicabilità della tutela reale.
Tuttavia, la sentenza in commento ha ribaltato le precedenti decisioni delle Corti di merito, ritenendo che (al contrario della sentenza delle Sezioni Unite, che trattava dell’inefficacia di un atto datoriale determinata dall’intempestività dell’avvio del procedimento disciplinare e non dell’applicazione della sanzione) in questo caso il contratto collettivo applicato nella fattispecie prevedeva che, in mancanza di emanazione del provvedimento disciplinare entro il termine previsto, le giustificazioni dovevano ritenersi accolte; la Suprema Corte ha quindi ritenuto che un termine autoimposto dalle parti non può che essere assolutamente vincolante con la conseguenza che il mancato rispetto determina necessariamente l’archiviazione del procedimento disciplinare, da cui discende l’inesistenza (rectius insussistenza) dei motivi di licenziamento, con conseguente reintegra del lavoratore.
Tuttavia, le motivazioni poste a fondamento della pronuncia non sembrano del tutto condivisibili.
Secondo l’interpretazione in commento, infatti, il datore di lavoro potrebbe persino attendere anni prima di avviare un procedimento disciplinare (circostanza talvolta ritenuta addirittura legittima a causa della difficoltà ad avere contezza della condotta del lavoratore) ma poi avrebbe solo pochi giorni per verificare se le dichiarazioni rese dal lavoratore (dichiarazioni tra l’altro non giurate e fornite da un soggetto evidentemente coinvolto nella vicenda) siano o meno idonee a giustificare la condotta!
Senza considerare che nella sentenza delle Sezioni Unite n. 30985 del 27 dicembre 2017, la tardività viene considerata quale “altro vizio” e, pertanto, dà luogo ad un’indennità compresa tra le 12 e le 24 mensilità (nel caso in cui invece il contratto collettivo preveda un termine per avviare il provvedimento, si configura un vizio procedurale, con conseguente indennità ricompresa tra le 6 e 12 mensilità).
Rimangono quindi le perplessità circa le motivazioni per cui un intempestivo adempimento da parte del datore di lavoro dovrebbe determinare conseguenze così diverse, secondo che si verifichi in fase di attivazione del procedimento disciplinare oppure in fase di comminazione della sanzione.