15 Aprile 2020
Come evidenziato con precedente news del 19 marzo u.s., il Decreto Cura Italia (d.l. 18/2020), all’art. 46, prevede significativi limiti al potere di licenziamento dei datori di lavoro, applicabili nel periodo dal 17 marzo al 16 maggio 2020.
Durante tale arco temporale, infatti, sono previsti:
– il divieto di avviare procedure di licenziamento collettivo (almeno 5 dipendenti nell’arco di 120 giorni nel medesimo territorio provinciale, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro);
– la sospensione delle procedure di licenziamento in corso alla data del 17 marzo 2020, se avviate dopo il 23 febbraio 2020;
– il divieto di recede dal rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo (licenziamenti individuali per g.m.o.).
Nel periodo in questione, pertanto – come confermato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con nota n. 2211 del 24 marzo u.s. – “non possono essere avviate le procedure di licenziamento collettivo (…) e quelle pendenti, avviate dopo il 23 febbraio, sono sospese (…). In relazione, invece, ai licenziamenti individuali per g.m.o., l’Ispettorato ha evidenziato che la norma stabilisce un divieto di risoluzione del contratto; conseguentemente, pur riservandosi di fornire ulteriori chiarimenti successivamente alla conversione in legge del Decreto, ha invitato gli ITL a rinviare le convocazioni per le procedure di licenziamento individuale ad una data successiva al 17 maggio p.v.
La disposizione sopra illustrata è certamente frutto dei numerosi “rimaneggiamenti” avvenuti nelle (convulse) giornate del 16 e 17 marzo u.s., e probabilmente nasceva con una finalità diversa, e cioè quella di sospendere i termini per l’impugnativa dei licenziamenti.
In tal senso, infatti, depongono sia la rubrica dell’art. 46, sia le incongruenti indicazioni contenute nella relazione illustrativa del Decreto, come recentemente osservato anche dal Servizio Studi del Senato della Repubblica con Dossier del 20 marzo u.s.
Sul piano operativo, la norma pone non pochi problemi applicativi.
Ed infatti, salve modifiche in sede di conversione, per il periodo in questione non sarà possibile irrogare licenziamenti per ragioni “oggettive”, ma solo per motivi disciplinari (giusta causa o giustificato motivo soggettivo), per mancato superamento della prova, per raggiunti limiti di età o per superamento del periodo di comporto.
Inoltre, non rientra nel divieto in questione nemmeno il licenziamento dei dirigenti, non essendo applicabile a tale categoria di personale la nozione stessa di licenziamento per g.m.o., né la cessazione del rapporto di lavoro al termine dell’apprendistato o per scadenza del termine.
Dubbia, invece, è la possibilità di irrogare licenziamento per inidoneità sopravvenuta della prestazione.
Ed infatti, la norma vieta i licenziamenti per g.m.o. indipendentemente dalla motivazione concreta; si tratta di un divieto generalizzato, non limitato ai soli licenziamenti di carattere economico, e, pertanto, sulla base di una interpretazione letterale, dovrebbe applicarsi anche ai licenziamenti dovuti ad inidoneità del lavoratore (per i quali, si rammenta, è applicabile la procedura conciliativa di cui all’art. 7 l. 604/1966).
Tuttavia, non può non rilevarsi che la norma fa da “contrappeso” alle innovazioni contenute nel Decreto in materia di ammortizzatori sociali e mira ad evitare l’eventuale licenziamento del personale a causa della sospensione o riduzione di attività dovute dall’emergenza COVID-19.
L’adozione di un criterio teleologico, quindi, indurrebbe ad escludere dal campo d’applicazione del divieto i licenziamenti per inidoneità sopravvenuta.
Tale soluzione appare preferibile sia sul piano interpretativo (come d’altronde già segnalato da autorevole dottrina), sia perché assicura una maggiore tutela agli stessi lavoratori, i quali, in assenza di posizioni alternative per la ricollocazione, dovrebbero altrimenti essere sospesi dal servizio senza retribuzione in attesa della cessazione del rapporto, senza, peraltro, poter accedere ad eventuali ammortizzatori sociali.
Ad ogni modo, si auspica che, in sede di conversione, sia chiarito tale aspetto e che, più in generale, sia riesaminata la struttura complessiva della disposizione che, allo stato attuale, limitando oltremodo l’iniziativa economica del datore di lavoro (anche oltre le meritorie finalità del Decreto), presenta evidenti profili di contrasto con l’art. 41 della Costituzione.
Per completezza, infine, si segnala che l’art. 47 del Decreto prevede che sino al 30 aprile 2020, l’assenza dal lavoro da parte di uno dei genitori conviventi di una persona con disabilità non possa costituire giusta causa di licenziamento.
Download Decreto Cura Italia_stop ai licenziamenti per motivi economici