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Decadenze introdotte dal Collegato Lavoro

10 Febbraio 2012

Mediante le recenti sentenze del Tribunale di Milano, n. 3914 del 4 agosto 2011 e n. 4404 del 29 settembre 2011, la giurisprudenza di merito ha, per la prima volta, esaminato gli effetti del c.d. Decreto Mille Proroghe (d.l. 225/2010, convertito in l. 10/2011), sul regime di decadenze in tema di impugnazione del licenziamento individuale introdotto dall’art. 32 l. 183/2010, giungendo, tuttavia, ad approdi tra di loro completamente discordanti.

Come si è avuto modo di precisare in precedenti note, il citato art. 32 prevede che il dipendente che intenda chiedere l’annullamento del licenziamento intimatogli, oltre ad essere tenuto ad impugnare il provvedimento datoriale entro 60 giorni da quando ne ha avuto notizia (ovvero dalla comunicazione delle motivazioni, se successiva), debba altresì depositare il ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro ovvero comunicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato entro i 270 giorni successivi all’impugnativa.
Il Collegato Lavoro, inoltre, ha esteso la suddetta disciplina non solo a “tutti i casi di invalidità del licenziamento” (e quindi, deve ritenersi, anche i casi di nullità dello stesso per difetto di forma), ma anche ad alcune fattispecie differenti, quali: a) la scadenza del termine; b) la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa; c) la cessione dei rapporti di lavoro a seguito di trasferimento d’azienda; d) il trasferimento in altra unità produttiva; e) ogni altro caso in cui si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.

Tuttavia, dopo aver delineato il suddetto quadro normativo, il legislatore ha avuto un ripensamento, e, con il menzionato Decreto Mille Proroghe – utilizzando una tecnica normativa senza dubbio discutibile – ha introdotto il comma 1-bis all’art. 32 cit.
Tale comma, in particolare, prevede che “in sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all’articolo 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo [e cioè, le disposizioni in materia di decadenza sopra delineate], relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011”.
Evidentemente, la ratio della suddetta norma era avviare con gradualità l’applicazione pratica “a regime” delle novità introdotte dalla legge n. 183/2010.
Tuttavia, il dato letterale della disposizione de quo induce a ritenere che la proroga dei termini fino al 31 dicembre 2011 riguardi solamente l’impugnazione del licenziamento, e non anche la contestazione della legittimità delle altre ipotesi di recesso o di modifica definitiva del rapporto di lavoro.

A tal riguardo, infatti, anche la Camera dei Deputati, con ordine del giorno n. 9/4086/12 del 25 febbraio 2011, ha precisato che “l’interpretazione sistematica del comma 1-bis non comporta (…) il differimento dell’applicazione dei termini decadenziali anche alle fattispecie previste ai successivi commi 3 e 4 (e cioè anche di quelli relativi al lavoro a termine, n.d.r.)” e, conseguentemente, ha ritenuto di impegnare il Governo “a emanare disposizioni in tal senso, al fine di evitare ogni incertezza interpretativa”.
Orbene, il Tribunale di Milano, mediante la prima pronuncia del 4 agosto u.s., ha completamente disatteso tale impostazione, ritenendo che la proroga dei termini di decadenza debba intendersi estesa a tutte le ipotesi previste dal Collegato Lavoro.
In particolare, infatti, il giudicante ha ritenuto che “la previsione in parola, (…) ove interpretata in senso contrario, non avrebbe alcun senso: posto che la stessa si riferisce espressamente al termine di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento e che detto termine per il licenziamento era già previsto dalla legge n. 604/1966 “.
Di contro, la sentenza più recente (del 29 settembre), ha pienamente condiviso l’interpretazione della Camera dei Deputati, stabilendo che “l’esame del testo dell’art. 2 comma 54, Dl n. 225/2010, unitamente all’analisi della volontà del legislatore, così come espressa dall’ordine del giorno della Camera, votato in sede di approvazione del suddetto decreto legge, esclude che il differimento possa essere applicabile (…) al di fuori della sola ipotesi di impugnazione del licenziamento”.

Allo stato, pertanto, non sussiste – in materia – alcun orientamento giurisprudenziale uniforme, atteso che persino in seno al medesimo tribunale si sono formati due convincimenti totalmente divergenti tra di loro.
Cionondimeno, l’interpretazione più restrittiva (fornita dalla citata sentenza del 29 settembre) appare preferibile, in quanto più coerente con il dato letterale della norma;  la tesi opposta, infatti, prescinde dal testo della legge che fa espresso riferimento ai soli “sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento” (con il rischio di violare, così, l’art. 12 delle Preleggi, ai sensi del quale “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”).
Ad ogni modo – a prescindere dall’opzione interpretativa prescelta – l’effetto sospensivo del Decreto Mille Proroghe è cessato il 31 dicembre 2011, e, pertanto a decorrere da tale data, ha ripreso pienamente vita l’obbligo dei lavoratori di impugnare entro 60 giorni (a pena di decadenza) tutti gli atti e le scadenze contrattuali indicati nel Collegato Lavoro.

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