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Dalla qualifica agli incarichi… la Cassazione detta i principi per armonizzare il passaggio

26 Gennaio 2018

A distanza di oltre un ventennio dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 502/92 (e, più in generale, per il pubblico impiego, del d.lgs. n. 29/93), la Cassazione è tornata sul tema del mantenimento della qualifica di assunzione per i medici che erano stati assunti prima dell’introduzione del ruolo unico per la dirigenza sanitaria.

Come noto, nel nuovo assetto delineato dalla citata riforma, la dirigenza sanitaria è caratterizzata dalla temporaneità degli incarichi e dall’esclusione della configurabilità di diritti soggettivi degli interessati a conservare in ogni caso determinate tipologie di incarico, con conseguente inapplicabilità dell’art. 2103 c.c. (anche nella versione previgente alla novella del d.lgs. n. 81/15).

Tale flessibilità è stata ritenuta applicabile anche al personale assunto in epoca antecedente all’introduzione della qualifica dirigenziale a seguito di concorso specificamente indetto per determinati posti di lavoro.

In particolare, con sentenza n. 28879 del 1° dicembre 2017, la Suprema Corte ha chiarito che “nell’ipotesi di un rapporto di lavoro di un dirigente iniziato prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 29 del 1993 , per effetto del superamento da parte del dirigente stesso di un regolare concorso pubblico, il diritto soggettivo pieno alla qualifica e alle funzioni proprie del posto messo a concorso e poi occupato di cui l’interessato, in base alla normativa all’epoca vigente, era titolare in qualità di vincitore del relativo concorso, non può permanere in quanto tale dopo l’entrata in vigore della riforma del pubblico impiego (21 febbraio 1993), per evidente incompatibilità con la disciplina della dirigenza contenuta in tale riforma, i cui principi si rinvengono anche nel D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 e ss., (entrato in vigore gennaio 1993) specificamente dedicato alla dirigenza sanitaria del SSN.”.

Tuttavia, secondo i giudici di legittimità, è necessario che nei confronti di tali lavoratori assunti prima dell’introduzione della dirigenza, il datore di lavoro – nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza – si attivi per fare in modo che la posizione soggettiva del medico sia opportunamente “armonizzata” con il nuovo assetto organizzativo.

Tale operazione impone, sostanzialmente, al datore di lavoro (evidentemente in fase di prima applicazione) di assicurare al dirigente funzioni compatibili con quelle fino a quel momento svolte, individuando nell’ambito dell’accordo di conferimento dell’incarico un preciso termine di durata, all’esito del quale procedere all’eventuale assegnazione di altro incarico.

Secondo quanto evidenziato dalla Cassazione, se tali passaggi non avvengono ed il datore di lavoro, senza alcun preavviso, revoca l’incarico dirigenziale in precedenza regolarmente conferito, assumendone il carattere temporaneo mai prima evidenziato al lavoratore, si rende responsabile di un inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre un danno risarcibile.

Tali principi valgono, mutatis mutandis, anche per i rapporti di lavoro privato in cui si sia proceduto – attraverso la contrattazione collettiva – all’introduzione dell’unica qualifica dirigenziale per determinate professionalità.

Anche in tale ambito – fermo restando il potere dispositivo delle parti contrattuali alle quali compete, a norma dell’art. 2095 c.c., l’individuazione dei requisiti di appartenenza alle categorie legali – appare, infatti, essenziale che in fase di prima applicazione trovi applicazione un criterio di corrispondenza tra le funzioni rivestite dai lavoratori e la nuova organizzazione introdotta dal ccnl, assegnando al personale un termine di verifica congruo e chiaro, all’esito del quale potrà essere rivista la posizione dei singoli lavoratori.

 

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