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Dal 25 novembre stesse regole per Sanità pubblica e privata in tema di orario di lavoro

27 Novembre 2016

Con il d.lgs. 66/03 l’Italia provvedeva a dare attuazione alle direttive europee in tema di orario di lavoro già da tempo emanate, dotandosi così di un’organica disciplina in materia, di applicazione generale, rispettosa delle regole comunitarie.

Sebbene l’art. 17, co. 5 del decreto in questione prevedesse che alcune disposizioni (quali quelle sulla durata massima dell’orario di lavoro, sul lavoro straordinario, sul riposo giornaliero, sulle pause e sulla durata del lavoro notturno) non si applicassero ai “dirigenti e personale direttivo delle aziende o altre persone aventi potere di decisione autonomo”, il Ministero del Lavoro – già con la nota n. 10 dell’8 febbraio 2007 aveva espressamente precisato come tali esclusioni presupponessero che la durata dell’orario di lavoro non risultasse concretamente quantificata né predeterminabile, ovvero che la sua determinazione fosse rimessa al lavoratore.
In ragione di quanto sopra, atteso che nell’ambito della Sanità anche il personale dirigenziale (medico e non) ha un orario ben definito, generalmente avvicendandosi su turni di lavoro, non trovando quindi applicazione nei suoi confronti l’art. 17, co. 5 ora esaminato, il legislatore – con due distinti provvedimenti del 2008 – prevedeva l’inapplicabilità al personale del ruolo sanitario del SSN e al personale delle aree dirigenziali degli Enti e delle Aziende del SSN delle norme contenute nel d. lgs. 66/03 relative alla durata massima dell’orario di lavoro e al riposo giornaliero.

In relazione a tale decisione, tuttavia, la Commissione Europea deferiva l’Italia alla Corte di Giustizia Europea, rilevando come i medici italiani – sebbene formalmente qualificati come dirigenti – non godano, in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro, delle prerogative o dell’autonomia dirigenziali.
Peraltro, appare appena il caso di rilevare che la normativa comunitaria in materia di orario di lavoro è ispirata a preminenti motivi di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore (che, nel settore della sanità, sono posti a garanzia anche dell’incolumità e della salute del paziente), di talché la sottrazione dei medici al rispetto della normativa sull’orario di lavoro finirebbe con il frustrare irrimediabilmente la finalità dei precetti comunitari.
Al fine di sanare tale procedura di infrazione, pertanto, il legislatore emanava la l. 161/14, con la quale disponeva, con effetto dal prossimo 25 novembre, l’abrogazione delle deroghe introdotte nel 2008 per il settore della sanità pubblica.

Per effetto di tale abrogazione, pertanto, si riespande pienamente anche nei confronti di tali lavoratori la normativa in tema di orario di lavoro contenuta nel d.lgs. 66/03, decadendo – per espressa previsione legislativa – gli accordi nelle more raggiunti sulla base delle norme abrogate e, rimandando, per il futuro, eventuali deroghe alla contrattazione collettiva nazionale, beninteso nei limiti di quanto consentito dal citato decreto.
Quanto sopra, tuttavia, appare di esclusiva pertinenza delle Strutture sanitarie pubbliche e non anche di quelle private (anche accreditate con il SSN), con ciò quindi dovendosi fare ragione di talune improprie generalizzazioni apparse su alcuni organi di stampa e comunicati di organizzazioni sindacali di settore, che hanno avuto l’effetto di ingenerare ingiustificati timori anche nelle Strutture sanitarie private.

Al contrario, i lavoratori di queste ultime – medici e personale del comparto – sono da sempre stati pienamente ed integralmente assoggettati a tutte le disposizioni del d. lgs. 66/03, non risultando destinatari delle deroghe introdotte nel 2008 ed oggi abrogate con la l. 161/14.
Ne consegue, pertanto, che nei confronti dei lavoratori della Sanità privata anche dopo il 25 novembre continueranno a trovare applicazione le medesime disposizioni, restando validi gli accordi a qualsiasi livello sottoscritti in conformità alle previsioni legislative in materia.

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