9 Ottobre 2015
Con circolare 4621 del 27 agosto 2015 il Ministero degli Interni si è definitivamente pronunciato in merito alla possibilità di convertire il permesso di soggiorno rilasciato per motivi religiosi in permesso per lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo.
La controversa questione affonda le proprie radici nell’articolo 6, comma 1 del d.lgs 286/98 (c.d. TU in materia di immigrazione) e nell’ art. 14 del DPR 394/99, i quali prevedono la possibilità per il cittadino extracomunitario di esercitare attività lavorativa nello stato italiano pur in possesso di un permesso di soggiorno diverso da quello espressamente rilasciato per motivi di lavoro: in alcuni casi direttamente (previa iscrizione al collocamento e comunicazione alla Direzione Provinciale del Lavoro), in altri casi attraverso la richiesta di conversione del titolo di soggiorno stesso.
Tra i permessi utilizzabili a tal fine (tra cui, si ricorda, quelli per motivi familiari, di studio e di formazione), la citata legge non prevede il permesso per motivi di religione.
Ebbene stando al tenore meramente letterale della norma non sarebbe possibile adibire al lavoro religiosi stranieri in possesso del permesso di soggiorno per motivi religiosi, e ciò neppure procedendo alla richiesta di conversione del permesso stesso.
Cionondimeno, parte rilevante della giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regionali ha ritenuto possibile tale mutamento di titolo (pur in mancanza di un’espressa previsione normativa) sul presupposto che l’indicazione delle possibilità di conversione di cui all’ articolo 14 del D.P.R. n. 394 del 31 agosto 1999 non può ritenersi tassativa ma riguarda ogni titolo di soggiorno ivi incluso, di conseguenza, quello rilasciato per motivi religiosi.
Tuttavia l’applicazione del suddetto principio giurisprudenziale ha comportato non poche criticità principalmente connesse alla difficoltà di ammettere la conversione in parola in assenza di una disposizione che la preveda espressamente.
Al fine di dirimere l’annosa questione il Ministero dell’Interno ha, quindi, ritenuto opportuno acquisire l’avviso del Consiglio di Stato il quale, con parere N.1048/2015, espresso nell’adunanza in data 15 luglio 2015 (ed acquisito in data 25 agosto 2015), si è definitivamente pronunciato chiarendo che la specificità e la eccezionalità del permesso di soggiorno per motivi religiosi esclude, in mancanza di una disposizione esplicita, la facoltà di conversione di detto permesso in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
E’ stato, infatti, sottolineato dal Consiglio di Stato che l’unica ragione per la quale un cittadino straniero ottiene il permesso di soggiorno per motivi religiosi é quella di svolgere nel territorio nazionale l’attività strettamente collegata al proprio ministero e che se tali presupposti vengono meno (in quanto il titolare di tale permesso intende dedicarsi ad attività lavorativa) viene a mancare l’unico presupposto di entrata e di permanenza nel territorio nazionale.
Difatti, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi religiosi, ai sensi dell’ art. 5 comma 2 del T.U. immigrazione, segue un iter particolare ed agevolato, ed il suo rinnovo è previsto fin quando il beneficiario si dedica ad attività religiose e di culto; oltre a ciò, tali permessi di soggiorno non sottostanno alle restrizioni quantitative fissate per i permessi di lavoro e, qualora commutati, influirebbero sulla par condicio a carico dei richiedenti non “privilegiati”.
Ne consegue che la persona interessata, titolare del permesso di soggiorno per motivi religiosi non vanta un diritto alla conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o di lavoro autonomo anche se questo non è esplicitamente escluso dall’articolo 14 sopra citato ciò in quanto, come chiarito dal Ministero, le disposizioni contenute rispettivamente nell’ art. 6 del DPR 286/98 e nell’ art. 14 del DPR 394/99 non devono ritenersi suscettibili di interpretazione estensiva.