11 Febbraio 2020
Con sentenza n. 823 del 16 gennaio 2020 la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’applicabilità del cd. regime delle tutele crescenti ai contratti a termine stipulati prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 23/15 (7 marzo 2015), la cui conversione sia avvenuta successivamente a tale data.
Come noto, il co. 2 dell’art. 1 del citato d.lgs. n. 23 stabilisce che “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”.
Sull’interpretazione di tale clausola normativa era intervenuto inizialmente il Tribunale di Roma, statuendo che la disciplina di cui al Jobs Act trovasse applicazione alle sole ipotesi di contratti a termine stipulati prima del 7 marzo 2015, la cui conversione fosse avvenuta volontariamente dopo tale data (Trib, Roma, n. 75870/18), mentre in caso di conversione giudiziale di tali rapporti trovasse applicazione l’art. 18 Stat. Lav.
Successivamente, sulla questione si era pronunciato anche il Tribunale di Parma, giungendo a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle del giudice capitolino.
Secondo il citato Tribunale, infatti, la disciplina del Jobs Act è destinata a trovare applicazione solo in caso di contratto a tempo determinato sottoscritto prima del 7 marzo 2015 la cui conversione sia disposta, dopo tale data, a seguito della dichiarazione giudiziale di nullità del termine, mentre si applicano le tutele previste dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori ai rapporti trasformati a tempo indeterminato per volontà delle parti dopo la predetta data (sentenza n. 383 del 18.02.2019).
Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione è intervenuta a dirimere tale contrasto giurisprudenziale, accogliendo l’interpretazione del Tribunale di Roma.
La Suprema Corte, infatti, fornendo un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma (in linea con la legge delega) ha rilevato come “i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo (n. 23/15 ndr), con rapporto di lavoro giudizialmente convertito a tempo indeterminato solo successivamente a tale decreto” non possono essere “considerati nuovi assunti”, in quanto “la sentenza che accerta la nullità della clausola appositiva del termine ha natura dichiarativa e non costitutiva”.
Di conseguenza, la conversione del rapporto a tempo indeterminato opera ex tunc, ossia a decorrere dalla illegittima stipulazione del contratto a termine.
Del resto – hanno osservato i giudici di legittimità – una diversa interpretazione determinerebbe una evidente quanto irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori ugualmente assunti a tempo determinato prima del 7 marzo 2015 con conversione avvenuta prima o dopo tale data “per mero accidente”, dipendente dai tempi della giustizia.
La Suprema Corte ha poi chiarito quali siano le ulteriori ipotesi di “conversione” del contratto a termine, oltre a quella volontaria, che comportano l’applicazione delle cd. tutele crescenti anche ove riferite a rapporti instaurati prima del 7 marzo 2015, ovverosia: la continuazione del rapporto oltre i limiti di legge (qualora la scadenza sia successiva al 7 marzo 2015), la violazione degli intervalli temporali tra un contratto e l’altro (qualora il secondo contratto sia stato stipulato dopo quella data), ovvero il superamento del limite massimo di durata dei contratti a termine con il medesimo lavoratore (superamento successivo alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 23/15).
Download Conversione del contratto a termine ed applicazione del regime delle tutele crescenti