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Conversione a tempo indeterminato del contratto a termine effettuata dopo il 7 marzo 2015: in caso di licenziamento, quale tutela processuale e sostanziale applicare?

15 Marzo 2019

Nei giorni scorsi il Tribunale di Parma (n. cron. 383 del 18/2/2019) è intervenuto, a distanza di pochi mesi dalla pronuncia del Tribunale di Roma (n. cron. 75870 del 6/8/2018) ed in senso diametralmente opposto, in ordine all’interpretazione dell’art. 1, comma 2, d.lgs. 23/15 (c.d. Jobs Act) che, come noto stabilisce che: “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto” (7 marzo 2015) “di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”.

Secondo la citata previsione legislativa, se un contratto a termine, pur sottoscritto in epoca precedente, è stato convertito a tempo indeterminato successivamente alla data del 7 marzo 2015, in caso di licenziamento trova applicazione la disciplina processuale e sostanziale prevista dal c.d. Jobs Act.

Dubbi interpretativi sono sorti in merito a cosa debba intendersi per “conversione”, ossia se la disciplina prevista dal Jobs Act a tutele crescenti debba applicarsi o meno in ogni caso di conversione del contratto, e dunque sia per volontà negoziale sia nell’ipotesi in cui la conversione sia stata disposta in sede giudiziale a seguito della dichiarazione di nullità del termine.

Il caso esaminato dalla pronuncia in commento trae origine dall’impugnazione effettuata da un lavoratore (il cui rapporto di lavoro a termine era stato trasformato per volontà negoziale a tempo indeterminato successivamente al 7 marzo 2015) del licenziamento intimatogli oralmente per giusta causa.

In particolare, il lavoratore chiedeva l’applicazione delle tutele ex art. 18, L. 300/70 (c.d. Fornero) pur essendo la conversione del rapporto intervenuta successivamente al 7 marzo 2015, sul presupposto della nullità del termine inizialmente apposto al contratto di lavoro (per non aver la società resistente effettuato la valutazione dei rischi) e della sussistenza, ab origine, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (fin dalla data di assunzione a tempo determinato, precedente al 7 marzo 2015).

Il Tribunale di Parma, accogliendo la domanda azionata dal lavoratore, dichiarava la nullità del termine e la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato sin dalla data originaria di assunzione, confermando l’applicabilità della tutela prevista dall’art. 18, l. 300/70 (c.d. Fornero), sul presupposto che nel caso di specie la conversione del rapporto non era intervenuta per volontà delle parti con la trasformazione del rapporto, bensì era stata operata in sede giudiziale con l’accertamento della nullità del termine originariamente pattuito.

Sul punto il Giudice del Lavoro ha affermato quanto segue: “Posto che la conversione operata in sede giudiziale di un contratto a termine per i motivi tassativamente previsti dalla legge determina la costituzione di un rapporto  a tempo indeterminato con efficacia ex tunc, ossia sin dalla data di sottoscrizione del contratto a tempo determinato, ritiene la scrivente che l’interpretazione secondo cui la conversione cui fa riferimento il secondo comma dell’art. 1, d.lgs. 23/15 sia esclusivamente quella negoziale si conformi al criterio enunciato dal primo comma del suddetto articolo, per delimitare il campo di applicazione della nuova disciplina, che è di tipo temporale, in quanto rileva esclusivamente la data della costituzione del rapporto di lavoro”.

In senso esattamente contrario si è invece pronunciato il Tribunale di Roma il quale, interpretando in maniera restrittiva il termine “conversione”, ha affermato che sono esclusi dall’ambito di applicazione delle “tutele crescenti” (d.lgs. 23/2015) i rapporti nati a termine prima del 7 marzo 2015 e trasformati per volontà negoziale a tempo indeterminato in un momento successivo a tale data, ritenendo invece applicabile la nuova disciplina alle conversioni dei contratti a termine nati prima del 7 marzo trasformati a tempo indeterminato successivamente a tale data in via giudiziale, in quanto affette da nullità.

Pur riconoscendo la logicità e l’autorevolezza di entrambe le pronunce, e pur evidenziando la dubbia scelta terminologica del legislatore (il quale, nonostante l’utilizzo improprio del termine “conversione”, di matrice giudiziale, probabilmente voleva in realtà riferirsi alle ipotesi di “trasformazione”, quale espressione della volontà negoziale), l’interpretazione della norma così come formulata dal Tribunale di Parma risulta maggiormente coerente con la ratio dell’art. 1, comma 2 del d.lgs. citato.

Quanto sopra, anche in ragione delle pericolose ricadute che potrebbero prodursi aderendo al restrittivo orientamento del Tribunale di Roma, atteso che l’entrata in vigore del d.lgs. 23/2015 ha incentivato la trasformazione di numerosi contratti a termine sia attraverso gli sgravi contributivi allora vigenti, sia proprio con la previsione di un regime di tutele (quelle crescenti) certamente più favorevole di quello precedente, quantomeno fino alla pronuncia n. 194/2018 della Corte Costituzionale (cfr. precedente news del 12 novembre 2018).

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