Come noto l’art. 32, 5° comma, della legge n. 183/2010 (c.d. Collegato lavoro) ha disciplinato in maniera diversa rispetto al passato le conseguenze degli effetti della conversione di un contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, stabilendo che, in tali casi, “il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 mensilità ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto”.
Lo scopo di tale norma è evidentemente quello di limitare gli oneri economici posti in capo al datore di lavoro nel caso in cui fosse accertata la nullità del termine apposto al contratto, e ciò anche a distanza di diversi anni dalla cessazione del rapporto, posto che l’azione di nullità è imprescrittibile.
Sulla disposizione del Collegato Lavoro è anche intervenuta la Corte Costituzionale, con sentenza n. 303/2011, al fine di escludere qualsivoglia profilo di incostituzionalità che era stato – invece – sollevato in proposito.
La Consulta ha motivato la propria decisione precisando, tra l’altro, che la stabilizzazione del rapporto (che consegue alla pronunzia di nullità del termine) è la tutela maggiore che il lavoratore possa ottenere, con la conseguenza che il risarcimento del danno si configura come tutela meramente secondaria.
Ciò nonostante non sono mancate pronunzie giudiziarie di merito che hanno completamente disatteso l’interpretazione fornita dalla Consulta: in particolare la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 267 del 17 gennaio 2012, ha sancito che la disposizione di cui all’art. 32, comma 5, del Collegato lavoro va intesa nel senso che l’indennità in essa prevista “copre il periodo fino al deposito del ricorso, e cioè fino alla domanda, e quindi da quella data spettano le retribuzioni per effetto della conversione”.
Analogamente, il Tribunale di Napoli, con sentenza del 16 novembre 2011, ritenendo che la pronuncia della Consulta non sarebbe vincolante per i giudici di merito (trattandosi di una sentenza interpretativa di rigetto), ha pure stabilito che “l’indennità risarcitoria di cui all’art. 31, comma 5, della legge 183/2010 copre il periodo di tempo fino al deposito del ricorso, dopodiché sono dovute le retribuzioni”.
Tali sentenze non appaiono veramente condivisibili, atteso che si pongono in contrasto con una interpretazione fornita dal Giudice delle leggi, la cui funzione dovrebbe – per l’appunto – essere quella di dotare gli operatori del diritto di un’ interpretazione delle norme costituzionalmente orientata.
Per di più la Corte di Cassazione sta avvalorando (a differenza di alcuni giudici di merito) la pronunzia della Consulta, affermando che il danno forfettizato previsto dall’art. 32 del Collegato lavoro copre il periodo che decorre dalla scadenza del contratto di lavoro fino alla data della sentenza che accerta la nullità dello stesso (Cass. sentenza del 31 gennaio 2012 n. 1411. Con tale pronunzia i giudici di legittimità hanno specificato, altresì, che il regime risarcitorio previsto dall’art. 32, 5° comma, del Collegato Lavoro non ammette la detrazione dell’aliunde perceptum e prescinde dalla dimostrazione della ricorrenza di un danno effettivo subito dal lavoratore (pertanto il risarcimento è dovuto anche qualora il datore di lavoro riesca a provare che il lavoratore a termine abbia trovato un’altra stabile occupazione senza soluzione di continuità fin dalla cessazione del rapporto a termine impugnato).
Nello stesso senso ha statuito la Suprema Corte nella successiva sentenza del 29 febbraio 2012 n. 3056, precisando che il diritto al risarcimento previsto dall’art. 32 comma 5, della legge n.183/2010 configura, alla luce dell’interpretazione offerta dalla Corte Costituzionale con sentenza n.303 del 2011 una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice a prescindere dalla prova di un danno effettivo del lavoratore, trattandosi di una indennità forfettizata ed omnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo c.d. intermedio (ovvero dalla scadenza del termine fino alla sentenza che stabilisce la conversione del contratto in rapporto a tempo indeterminato).