6 Settembre 2019
Una recente sentenza del Tribunale di Firenze (4 giugno 2019, n. 528) offre lo spunto per ripercorrere la disciplina dei cd. contratti di prossimità, in un periodo in cui, sempre più spesso, il ricorso a tale istituto viene invocato come strumento per derogare alle rigidità normative, soprattutto in materia di contratti a termine.
Come noto, i cd. contratti di prossimità sono quegli accordi, stipulati “a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti” che possono anche derogare alle norme di legge “fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro” (art. 8 d.l. n. 138/11, conv. in l. n. 148/11).
Gli accordi di prossimità possono, infatti, intervenire unicamente con riferimento:
Inoltre, ai fini della legittimità di tali accordi è necessario che gli stessi siano finalizzati “alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività”.
Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale fiorentino, l’accordo di prossimità era intervenuto sull’inquadramento del personale, prevedendo il sotto inquadramento dei lavoratori neoassunti rispetto a quello previsto dal ccnl di riferimento, al fine di favorire genericamente una “maggiore occupazione”.
Tuttavia, secondo quanto rilevato dal giudice del lavoro, nel caso in esame l’accordo sottoscritto in sede aziendale non era volto a dettare “una disciplina derogatoria di norme esattamente individuate in correlazione causale con una delle finalità previste dall’art. 8, 1° comma, bensì … svariati aspetti del rapporto dei dipendenti e, quanto alla disciplina del livello di ingresso” prevedendo “un iniziale sottoinquadramento solo genericamente correlato alla finalità di maggiore occupazione e di sostenibilità dell’avviamento e della situazione aziendale” (Trib. Firenze, sent. cit.).
In sostanza, la deroga alla disciplina contrattuale (segnatamente, al livello di inquadramento del personale ed al relativo trattamento retributivo) era stata dalle parti solo formalmente collegata ad uno degli obiettivi previsti dalla legge n. 148/2011 (ossia la maggiore occupazione), senza che vi fosse un concreto nesso tra la misura attuata e la finalità dichiarata.
Per tale ragione il Giudice ha accolto il ricorso presentato dal lavoratore, dichiarando l’illegittimità dell’accordo ed il diritto del prestatore al corretto inquadramento.
Tale pronuncia pone correttamente l’accento sulla necessità di un corretto utilizzo dei contratti di prossimità, ribadendo l’eccezionalità di tale strumento e frenando – di conseguenza – l’iniziativa di quanti invocavano il ricorso a tale tipologia di accordi per introdurre deroghe a tutto campo alla disciplina legale, soprattutto (si ribadisce) in materia di contratti a termine.