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Contagio da Covid-19: secondo il criterio probabilistico vale la presunzione semplice 

2 Maggio 2023

Come prevedibile, iniziano a giungere sulle scrivanie dei Giudici le prime controversie per il riconoscimento delle conseguenze del contagio da Covid-19.

Interessante sul punto, la sentenza resa dal Tribunale di Milano (estensore, dott.ssa Porcelli) l’8 marzo u.s., in merito ad un’azione intentata dal marito di una dipendente del medesimo Tribunale, deceduta a causa del Covid-19 nelle primissime fasi della pandemia.

Nel caso di specie, l’Inail – chiamato a corrispondere la rendita e le indennità di cui all’art. 85 T.U. 1124/65 – resisteva alla pretesa, negando l’esistenza di un nesso causale tra ambiente di lavoro e contagio da Covid-19.

All’esito dell’istruttoria disposta dal Giudice, era risultato che la lavoratrice era la titolare dello sportello per la ricezione atti, la richiesta copie e la richiesta formule esecutive; lo sportello era aperto al pubblico durante la mattina e accadeva che gli utenti accedessero all’ufficio, dalla medesima condiviso con altre impiegate, per il disbrigo delle attività; nessuna misura organizzativa e alcuna protezione per il Covid-19 era stata predisposta sul luogo di lavoro, quantomeno sino a quando la lavoratrice si era assentata per malattia, sul finire del febbraio 2020, vale a dire all’esordio della pandemia in Italia.

Al fine di accertare l’esistenza del nesso causale tra il contagio (ed il successivo decesso) e l’attività lavorativa, si rendeva altresì necessario l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, all’esito della quale il CTU riteneva, in primo luogo, che il contagio della lavoratrice non potesse essere ascrivibile all’ambito familiare, in quanto il marito ed il figlio – pur essendosi anch’essi ammalati di Covid-19 – avevano manifestato i relativi sintomi solo alcuni giorni successivi, così facendo presumere, secondo un criterio probabilistico ed in ragione della durata media dell’incubazione del virus SARS-CoV-2, che fosse stata proprio la lavoratrice la fonte del contagio familiare e non invece altri membri della sua famiglia.

Ciò chiarito, il CTU – in forza del quesito formulato dal Giudice – provvedeva ad esaminare l’ambito lavorativo, al fine di verificare se il contagio potesse essere avvenuto sul luogo di lavoro.

Sul punto, il consulente evidenziava che, secondo un criterio probabilistico, mansioni caratterizzate dal contatto diretto con il pubblico a una distanza ravvicinata in un ambiente chiuso, prolungato quantomeno nell’arco di alcuni minuti – come nel caso di specie, almeno stando alle testimonianze acquisite in atti – costituiscono una situazione lavorativa pacificamente idonea alla trasmissione del SARS-CoV-2, soprattutto nel momento in cui il lavoratore non indossi un idoneo dispositivo di protezione respiratoria individuale (come nella fattispecie in esame).

Il Giudice aderisce integralmente alle prospettazioni del CTU, sia in ordine all’esclusione del contagio in ambito intrafamiliare – avendo la lavoratrice deceduta per prima manifestato i sintomi del Covid-19 all’interno del nucleo familiare – sia circa la riferibilità del contagio medesimo nell’ambito lavorativo in ragione delle mansioni svolte.

Sul punto, peraltro, il giudicante rileva altresì che tale ultima conclusione è in linea con quanto previsto dall’Inail medesimo in alcune sue circolari, laddove si afferma che la presunzione semplice di origine professionale del contagio da coronavirus vigente per gli operatori sanitari non esaurisce l’ambito di tutela da parte dell’Inail, sul punto richiamando la Circolare n. 13/2020 in cui l’Ente assicuratore afferma che: “A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari”. 

Ebbene, nel caso di specie la lavoratrice deceduta era proprio addetta, tra le altre, a mansioni di front office presso il Tribunale, cosicché anche nei suoi confronti avrebbe dovuto valere la presunzione semplice dall’Inail ingiustamente e contraddittoriamente disattesa. 

In forza delle esposte considerazioni, il Giudice accoglie il ricorso e riconosce, pertanto, al marito della lavoratrice deceduta la rendita ai superstiti prevista dall’articolo 85 del DPR 1124/1965, con una decisione che non sembra tuttavia idonea ad aprire un fronte verso l’automatico riconoscimento di pretese analoghe.

Ed invero, nella fattispecie esaminata risulta del tutto centrale il ruolo dell’istruzione probatoria – volta a verificare con esattezza le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa – nonché quello del CTU, chiamato a verificare il nesso causale tra ambiente di lavoro e contagio da SARS-CoV2, con la possibilità dunque che, pur in presenza della presunzione di cui alla Circolare INAIL n. 13/2020, il giudice adìto possa non ritenere causalmente collegato il decesso all’attività lavorativa. 

Non resta che attendere gli sviluppi del contenzioso in merito già avviato per verificare l’orientamento della giurisprudenza al riguardo.

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