21 Giugno 2019
La malattia, si sa, è l’evento impeditivo della prestazione lavorativa che più viene tutelato dall’Ordinamento, in ragione sia (quasi sempre) dell’involontarietà del suo verificarsi, sia per le evidenti ricadute sociali che essa implica.
Ne consegue che tutti i ccnl prevedono più o meno ampi periodi di comporto, vale a dire quell’intervallo temporale di conservazione del posto di lavoro al dipendente malato durante il quale non è possibile procedere al suo licenziamento a motivo della sua malattia.
È anche noto, tuttavia, che talvolta il periodo di comporto, sebbene ampio, può risultare insufficiente a consentire al lavoratore la ripresa dell’attività lavorativa, di talchè non di rado i lavoratori, al fine di non superare tale periodo, richiedono ai datori di lavoro la concessione di periodi di aspettativa ovvero la sostituzione della malattia in giornate di ferie.
Sul punto, la giurisprudenza – ondivaga per diverso da tempo – sembra aver ormai assunto una posizione piuttosto chiara nel ritenere possibile tale conversione del titolo dell’assenza, al fine di consentire al lavoratore il mantenimento del posto di lavoro.
In buona sintesi, secondo la giurisprudenza di legittimità, sebbene la fruizione delle ferie – in quanto finalizzata al recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore – sarebbe incompatibile con la malattia (che tale recupero non consente), tuttavia nel caso in cui la concessione delle ferie consenta la posticipazione del raggiungimento del periodo di comporto essa deve considerarsi possibile e quasi doverosa, atteso che consente al dipendente di salvaguardare il proprio posto di lavoro.
E, tuttavia, tale conversione del titolo dell’assenza non è affatto automatica, né tantomeno obbligatoria.
È quanto ha precisato recentemente la Suprema Corte con una propria ordinanza (Cass. 10725/19), nella quale gli Ermellini si sono occupati anche di questo aspetto.
Nel caso di specie, i Supremi Giudici dopo aver dato atto dell’esistenza del principio di diritto a mente del quale “il lavoratore assente per malattia ha facoltà di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie”, hanno tuttavia aggiunto che a tale facoltà non corrisponde comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa.
Ed invero, “in un’ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, nonché in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede”, è necessario, secondo la Corte, anzitutto che il lavoratore presenti la richiesta di fruizione delle ferie, così che il datore di lavoro gli possa concedere di beneficiarne durante il periodo di malattia, valutando il fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro.
Formulata correttamente l’istanza – che dovrà precedere la scadenza del periodo di comporto, atteso che al momento di detta scadenza sorge per il datore di lavoro il diritto di recedere dal rapporto ai sensi dell’art. 2110 c.c. – quest’ultimo potrà rigettarla ove sussistano ragioni ostative, che tuttavia dovranno essere concrete ed effettive, come tali idonee a dimostrare la valutazione datoriale, nell’assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto.
La decisione in commento, pertanto – sia pure con i limiti di una pronuncia che lascia ampi margini di valutazione all’interprete – ha tuttavia il pregio di indicare (insieme alle altre appartenenti al medesimo orientamento) una importante linea guida per il datore di lavoro, ma anche per il lavoratore nella gestione della complessa e delicata situazione in argomento.