14 Settembre 2018
La Corte di Cassazione è stata recentemente chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di computare, ai fini del comporto, le assenze del dipendente che – dopo una malattia – abbia fruito di un periodo di aspettativa e, all’esito di questa, non rientri in servizio, senza giustificare l’assenza.
Il datore di lavoro (ed, invero, anche la corte territoriale) aveva, infatti, ritenuto presumibile la prosecuzione della malattia anche dopo il periodo di congedo, posto che quest’ultimo era stato concesso proprio in virtù dello stato morboso del lavoratore e, pertanto, anche le ulteriori assenze effettuate dopo la cessazione dell’aspettativa erano state ritenute imputabili a malattia e, dunque, utili ai fini della consumazione del periodo di comporto.
In giurisprudenza è, infatti, consolidato il principio per cui l’eventuale aspettativa per malattia concessa al lavoratore debba essere considerata come “neutra” ai fini del comporto, con conseguente esclusione del relativo periodo sia dal computo delle giornate di malattia, sia dal calcolo dell’arco temporale di riferimento previsto dalla contrattazione collettiva per il comporto; tuttavia, come chiarito dai giudici di legittimità, il datore di lavoro potrà “legittimamente esercitare il diritto di recesso ove, al termine dell’aspettativa, il lavoratore non rientri in servizio o si assenti nuovamente per malattia, e l’assenza, sommata alle precedenti, superi il periodo cosiddetto “interno” entro l’arco temporale esterno, da calcolarsi escludendo il periodo di aspettativa” (cfr. da ultimo Cass. 3297/2016).
Sul punto, il lavoratore si era difeso sostenendo che la successiva assenza non fosse imputabile a malattia (dallo stesso, peraltro, mai comunicata e mai giustificata come tale all’azienda con idonea certificazione medica), ma alla sua deliberata volontà di non rientrare in servizio a seguito del trasferimento disposto, nelle more, dal datore di lavoro.
La Suprema Corte, nella sentenza in commento, pur confermando i propri precedenti in ordine al carattere “neutro” dell’aspettativa per malattia, ha tuttavia cassato con rinvio la sentenza impugnata, evidenziando come “per la computabilità nel periodo di comporto del periodo di assenza del lavoratore successivo alla scadenza del periodo di malattia previsto dal contratto collettivo è necessario accertare, anche in via presuntiva, che il mancato rientro in servizio del lavoratore – o la sua successiva assenza – siano dovuti ad una condizione di malattia, non essendo invece rilevanti le assenze imputabili ad una sua scelta volontaria” (Cass. 27 luglio 2018, n. 19927), che – al contrario – avrebbero legittimato l’irrogazione di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo.