12 Aprile 2022
Con la sentenza n. 3407 del 22 febbraio 2022 la Corte Suprema di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema da sempre dibattuto: la qualificazione del rapporto di lavoro in caso di prestazioni di natura intellettuale.
Si pensi ad esempio all’attività prestata da un libero professionista in favore di un’organizzazione imprenditoriale: in questo caso quali sono gli indici che possono portare all’accertamento della natura autonoma o subordinata della prestazione?
Prevale l’originaria qualificazione che le parti hanno dato nel contratto tra loro sottoscritto o è il concreto svolgersi del rapporto che ne determina la qualificazione?
A tali quesiti rispondono i Giudici di legittimità, sottolineando in primo luogo che “ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, la prolungata esecuzione ed il nomen iuris [vale a dire la qualificazione data dalle parti], pur essendo elementi necessari di valutazione, non costituiscono fattori assorbenti, occorrendo dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro”.
Secondo gli stessi Giudici, infatti, in caso di prestazioni di natura intellettuale, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, “il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto”.
Sulla base di queste premesse la Corte di Cassazione ha confermato la natura autonoma del rapporto che aveva legato per vari anni una dottoressa ad una struttura sanitaria, considerato che l’istruttoria aveva fatto emergere che l’interessata:
“non era inserita, diversamente dai medici con rapporto di lavoro dipendente, nei turni di guardia e di reperibilità e, pertanto, non aveva alcun obbligo in tal senso;
quanto alle ferie, era lei a indicare il periodo in cui voleva assentarsi, non era risultato che tale periodo le fosse stato negato o che le fosse stato imposto di «coprire» periodi «scoperti» perché richiesti dai medici dipendenti, che, invece, come tali dovevano necessariamente sottostare alle prevalenti esigenze della struttura ospedaliera;
era inserita nell’orario del mattino, per complessive trentasei ore settimanali, secondo quanto contrattualmente stabilito, e peraltro tali ore erano rese in modo non fiscale, in completa assenza di qualsiasi strumento di controllo oggettivo … non aveva cartellino, firma di presenza o riscontro di orario, né utilizzava alcun tipo di modulistica per assenza o altro, se doveva assentarsi semplicemente telefonava;
non è risultata … destinataria di alcuna misura disciplinare o di comportamenti che fossero espressione o presupponessero l’esercizio di tale potere da parte del responsabile della struttura … né di ingerenze sul piano professionale, essendo emerso solo un confronto, o un consulto, con il primario su qualche determinato referto”.
È stato dunque confermato l’accertamento compiuto dai Giudici d’appello, secondo i quali non erano emersi elementi tali da escludere l’originaria qualificazione autonoma data dalle parti nei contratti di collaborazione coordinata e continuativa intercorsi considerato che, dall’esame degli indici suindicati, non era emersa la sottoposizione del medico al potere gerarchico e disciplinare dalla struttura committente o a un potere organizzativo che avesse superato il necessario coordinamento dell’attività del professionista con le esigenze dello stesso committente.