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Collaborazioni autonome

27 Luglio 2012

Sempre nell’ottica di ridurre la c.d. “cattiva flessibilità”, la Legge n. 92/2012 ha introdotto l’art. 69 bis a conclusione del capo relativo al lavoro a progetto ed occasionale.
In particolare, l’art. 69 bis prevede una presunzione iuris tantum (superabile dalla prova contraria fornita dal committente) in base alla quale le prestazioni lavorative svolte da soggetto provvisto di partita IVA sono da considerarsi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa qualora ricorrano almeno due dei seguenti indici previsti dalla norma:
• che la collaborazione in favore dello stesso committente abbia una durata complessivamente superiore ad otto mesi nell’anno solare;
• che vi sia una postazione fissa di lavoro dedicata al collaboratore presso la sede del committente;
• che il corrispettivo derivante dalla collaborazione (anche se fatturato a più soggetti riconducibili allo stesso centro di imputazione di interessi) costituisca più dell’80% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dell’anno solare.
Nonostante la norma parli di trasformazione del rapporto di lavoro autonomo in mera collaborazione coordinata e continuativa, lasciando intendere che la sanzione per il committente consisterebbe soltanto nel versare i contributi presso la gestione separata nella misura di due terzi (art. 2, comma 26, L n. 335/95 e art. 69 D.Lgs. n. 276/03), tuttavia tale disposizione deve necessariamente essere raccordata con quelle in materia di lavoro a progetto (così come peraltro rivisitate dalla stessa L. n. 92/12).
Pertanto, il rapporto di lavoro autonomo ricondotto alla tipologia della collaborazione coordinata e continuativa che difetti dei requisiti tipici del contratto di lavoro a progetto (tra cui l’individuazione del progetto stesso) subirà la sorte di divenire, per effetto dell’art. 69 D.Lgs. n. 276/03, un rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti, realizzandosi, così, un effetto di doppia conversione.
Al fine di “smorzare” il rigore dei suddetti indici di conversione che, applicati indistintamente, avrebbero portato a conseguenze irragionevoli (includendo nella presunzione di legge anche autentiche prestazioni di lavoro autonomo) l’art. 69 bis prevede che la presunzione venga meno laddove operino congiuntamente i due seguenti criteri (di cui il primo, di natura qualitativa, appare connotato da un certo grado di astrattezza):
• la prestazione sia caratterizzata da competenze teoriche di grado elevato (acquisite mediante percorsi di studio e formazione) o sia caratterizzata da capacità tecnico – pratiche acquisite mediante rilevante esperienza lavorativa “sul campo”;
• il collaboratore abbia un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore ad € 17.823,00.
Come già anticipato nella parte introduttiva, la presunzione di conversione, a mente dell’art. 69 bis, 3° comma, non si applica altresì a coloro i quali svolgano attività professionali per cui la legge richiede l’iscrizione in appositi albi, elenchi, registri o ruoli. La ricognizione delle ipotesi di esenzione è deferita al Ministero del lavoro che entro tre mesi dall’entrata in vigore della riforma, dovrebbe emanare un apposito decreto.
La norma di cui all’art. 69 bis D.Lgs. n. 276/03 si applica a tutti i rapporti a partita IVA instaurati successivamente al 18 luglio 2012; mentre, per quei rapporti in corso al 18 luglio 2012, la nuova disciplina si applica decorsi 12 mesi dall’entrata in vigore della riforma, ossia a partire dal 18 luglio 2013.

 

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