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Circolare sul Decreto Dignità: luci ed ombre.

16 Novembre 2018

Con Circolare n. 17 del 31 ottobre scorso, il Ministero del Lavoro ha (finalmente) fornito indicazioni interpretative in ordine al cd. Decreto Dignità emanato nel luglio scorso.

Il bilancio di questo intervento, tuttavia, è in chiaroscuro, atteso che seppure sono stati forniti chiarimenti su taluni aspetti, altri viceversa non sono stati considerati dal Ministero, mentre alcune soluzioni fornite appaiono in contrasto con quanto in precedenza affermato dal medesimo dicastero sotto la vigenza della precedente normativa.

E così, ad esempio, limitando la disamina a quanto previsto in tema di contratto a termine, il Ministero precisa che è ammessa – nei nuovi limiti quantitativi previsti dalla novella legislativa – la proroga acausale del contratto a termine di durata inferiore a 12 mesi, salvo tuttavia che la proroga stessa determini il protrarsi oltre tale termine della durata complessiva del contratto, nel qual caso, quindi, si dovrà apporre la causale alla proroga.

Il Ministero, inoltre, chiarisce che il rinnovo del contratto a termine, ancorché intervenga su un contratto acausale e per una durata complessiva inferiore ai 12 mesi, deve sempre indicare la ragione che lo determina, con la conseguenza quindi che ogni ipotesi di rinnovo deve essere causale.

Trova risposta nella Circolare in commento anche l’interrogativo posto da più parti in ordine alla efficacia delle previsioni dei contratti collettivi – vigenti alla data di entrata in vigore del Decreto Dignità – che prevedano una disciplina dei contratti a termine diversa da quella attuale, sulla scorta dei poteri derogatori previsti sotto la vigenza del d. Lgs. 81/15 ante riforma.

Al proposito, infatti, conferma il Ministero che tali previsioni mantengono la loro validità sino alla naturale scadenza del contratto collettivo, precisando tuttavia che nessuna deroga è ammessa in ordine alle causali legislativamente introdotte.

In ordine al termine di durata del contratto, la circolare inoltre prevede che esso debba sempre essere espressamente indicato, consentendo l’apposizione di un termine per relationem nelle sole residuali ipotesi in cui non sia possibile desumersi ex ante l’esatta data di scadenza (ovviamente comunque all’interno del periodo massimo previsto per legge), come avviene in caso di sostituzione di lavoratrice in maternità.

Ancora, il Ministero precisa che il contributo addizionale dello 0,5% deve intendersi operante in modo incrementale in occasione di ogni rinnovo, con la sola esclusione quindi delle proroghe.

Su altri aspetti, come si accennava, il ministero non è invece intervenuto.

Nessun chiarimento ad esempio è stato fornito in ordine alle “condizioni” (le causali del recente passato) che giustificano l’apposizione al contratto di un termine maggiore di 12 mesi, o la sua proroga per un periodo successivo, confermando così la sensazione di molti addetti ai lavori in ordine alla sostanziale impossibilità di prevedere ipotesi di ricorso al contratto a termine se non quella sostitutiva.

Nulla dice, inoltre, la Circolare su cosa avvenga per l’ipotesi di prosecuzione di fatto (beninteso entro i limiti di legge) del rapporto a termine stipulato acausalmente per la durata di 12 mesi, nè per il caso di superamento dei 24 mesi sempre in regime di prosecuzione di fatto.

Ebbene, nella prima ipotesi – ove si volesse ritenere necessaria l’indicazione della causale in ogni caso di superamento dei 12 mesi – si giunge al paradosso di un rapporto acausale che debba essere giustificato per la sua prosecuzione di fatto di pochi giorni, con il concreto rischio che le motivazioni che sorreggono tale prosecuzione non rispondano alle condizioni tassativamente previste dalla novella legislativa.

In relazione alla seconda ipotesi, poi, nel silenzio del legislatore dovrebbe ritenersi ancora valido quanto a suo tempo chiarito dalla Circolare n. 13/2008, con la quale il Ministero – sotto la vigenza del d. lgs. 368/01 – affermava che, al superamento dei 36 mesi di contratto, non vi era un’automatica conversione del contratto a tempo indeterminato, dovendosi viceversa per il periodo di prosecuzione di fatto del rapporto solo corrispondere la retribuzione maggiorata.

Brusca variazione da parte del Ministero, inoltre, con riferimento alle motivazioni che sostengono la proroga.

Ed invero, sotto la vigenza del d. lgs. 368/01, la Circolare n. 42/2002 affermava la possibilità che le ragioni giustificatrici della proroga fossero “del tutto diverse da quelle che hanno determinato la stipulazione del contratto a termine…”.

Con la Circolare in commento, viceversa, il Ministero afferma che “la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine…Pertanto, non è possibile prorogare un contratto a determinato modificandone la motivazione”.

Appare evidente come – casuale o voluta che sia questa diversa interpretazione – ciò determina un’ulteriore riduzione del campo di applicazione del contratto a termine, con ogni conseguenza in ordine alla concreta utilizzabilità di tale forma contrattuale, già messa a dura prova dalle modifiche legislative introdotte e dalle incertezze di cui si è detto.

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