4 Gennaio 2017
CGIL propone tre quesiti referendari.
Il prossimo 11 gennaio la Corte Costituzionale si pronuncerà sulla ammissibilità dei quesiti referendari (vedi sotto) proposti dalla CGIL al fine di abrogare le novità introdotte dal Governo Renzi in materia di licenziamento individuale, lavoro accessorio e responsabilità solidale negli appalti, e in verità anche per modificare la previgente normativa.
Il licenziamento individuale
In caso di approvazione del primo quesito, la disciplina del licenziamento individuale sarebbe completamente modificata, con l’abrogazione del d.lgs 23/2015 (contratto a tutele crescenti) e di numerose parti dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (il quale, sostanzialmente, tornerebbe alla sua enunciazione ante “riforma Fornero”, con alcune ulteriori rigidità mai previste dal legislatore).
Infatti il quesito prevede l’applicazione della sanzione reintegratoria in tutti i casi di licenziamento illegittimo, anche laddove il vizio sia meramente formale o procedurale o qualora l’illegittimità non derivi dall’insussistenza del fatto ma solamente da una generica sproporzione del provvedimento espulsivo rispetto alle ragioni poste a base del recesso.
A titolo esemplificativo, potrebbe configurarsi la reintegra anche nel caso in cui risultasse una mera tardività nella contestazione disciplinare ovvero laddove il fatto (disciplinare, organizzativo o economico), oggettivamente esistente, non fosse giudicato abbastanza grave da motivare il licenziamento
Il quesito, inoltre, propone l’eliminazione del limite massimo pari a 12 mensilità al risarcimento in caso di reintegra, nonché l’applicazione dell’art. 18 Stat. Lav. a tutti i datori di lavoro che occupino almeno 5 dipendenti.
Proprio tale ultimo punto costituirebbe una novità assoluta, non essendo mai stata prevista una estensione della cd. tutela reale contro il licenziamento anche ad aziende di dimensioni così ridotte.
La dottrina prevalente ritiene il quesito inammissibile: per un verso, in quanto l’estensione della tutela reale alle aziende con 5 dipendenti renderebbe il referendum non solo abrogativo ma anche propositivo (non previsto dall’ordinamento italiano); per altro verso, in quanto il quesito – per come è stato formulato – obbligherebbe il cittadino votante a decidere su due leggi differenti con un unico voto (nonostante la Corte Costituzionale abbia più volte affermato il principio della univocità dei quesiti referendari – cfr. tra le tante C. Cost. 33/2000).
Aldilà delle considerazioni di mero diritto, non può sottacersi come l’approvazione del quesito referendario finirebbe per introdurre un sistema ancor più rigido del precedente: nelle più piccole realtà produttive, in particolare, l’irrigidimento del rapporto di lavoro e la contestuale eliminazione del limite massimo al risarcimento da corrispondere al lavoratore reintegrato potrebbero causare gravissimi danni anche per un solo licenziamento eventualmente dichiarato illegittimo; in generale, comunque, l’inevitabile perdita di attrattività di capitali esteri ostacolerebbe la creazione di nuove imprese, soprattutto ad opera di giovani non in possesso di risorse finanziarie sufficienti ad affrontare i rischi del mutato contesto giuslavoristico.
Il lavoro accessorio
Il secondo quesito prevede l’abrogazione degli artt. 48, 49 e 50 del d. lgs. 81/2015 concernenti il lavoro accessorio, e cioè le attività di natura meramente occasionale, svolte ricorrendo ai cd. voucher.
In questo caso, si tratta di un quesito meramente abrogativo motivato dalla considerazione che, secondo la valutazione del sindacato, tale istituto (soprattutto a seguito delle modifiche introdotte dal Jobs Act) costituirebbe sempre di più una (illegittima) alternativa alla costituzione di un rapporto di lavoro dipendente.
Un responso favorevole da parte delle urne potrebbe riportare nell’alveo del “lavoro sommerso” molti settori di attività nei quali – per la tipologia di persone coinvolte o per l’occasionalità delle prestazioni – le parti non sono normalmente interessate alla costituzione di un regolare rapporto di lavoro (es. giardinaggio, lezioni a domicilio, baby sitter etc.).
La responsabilità solidale negli appalti
Con l’ultimo quesito , CGIL intende tornare alla situazione precedente all’emanazione della riforma Fornero, eliminando il beneficio della preventiva escussione del datore di lavoro e ripristinando la perfetta responsabilità solidale tra committente e appaltatore, nonché abrogando la possibilità concessa alla contrattazione collettiva di escludere la responsabilità solidale del committente mediante la previsione di idonei sistemi di controllo preventivi circa il corretto trattamento dei dipendenti impiegati nell’appalto.
La proposizione di un simile quesito da parte di un’organizzazione sindacale desta perplessità, in quanto costituisce una sorta di rinuncia ad importanti prerogative riconosciute al sindacato da parte del legislatore: stupisce che proprio il primo sindacato nazionale richieda l’abrogazione di una norma che concede alle organizzazioni sindacali un ruolo da protagoniste nella tutela dei lavoratori impiegati nell’appalto.
Ed infatti, in un sistema di relazioni industriali maturo, le parti non dovrebbero sottrarsi dall’affrontare (e risolvere) congiuntamente le problematiche concrete che si presentano nei singoli settori produttivi.
Primo quesito (reintroduzione della reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa e sua estensione alle imprese sopra i 5 addetti – “articolo 18”)
«Volete voi l’abrogazione del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza e dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” comma 1, limitatamente alle parole “previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 del codice civile”; – comma 4, limitatamente alle parole: “per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili,” e alle parole “, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto”; – comma 5 nella sua interezza; – comma 6, limitatamente alla parola “quinto” e alle parole “, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi” e alle parole “, quinto o settimo”; – comma 7, limitatamente alle parole “che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’art. 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” e alle parole “; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo”; – comma 8, limitatamente alle parole “in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento”, alle parole “quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di” e alle parole “,anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”.».
Secondo quesito (eliminazione dei voucher)
«Volete voi l’abrogazione degli articoli 48, 49 e 50 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”?».
Terzo quesito (responsabilità e controllo sugli appalti)
«Volete voi l’abrogazione dell’art. 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”, comma 2, limitatamente alle parole “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti,” e alle parole “Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e degli eventuali subappaltatori”?»