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Autonomo o subordinato? Mappa sulla natura dei rapporti di lavoro

7 Marzo 2023

Come individuare l’effettiva natura dei rapporti di lavoro, quando non è chiara la presenza o meno della cosiddetta etero-direzione? Risponde a questo interrogativo l’ordinanza n. 1095 del 16 gennaio 2023, con cui la Cassazione ha ribadito che in tali ipotesi è necessario ricorrere ad alcuni specifici indici.

L’elemento distintivo tra rapporti di lavoro autonomo e subordinato, infatti, è costituito dalla soggezione del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro; non sempre, però, la presenza (o l’assenza) di tali elementi è chiara.

Per tale ragione da tempo la giurisprudenza ha precisato che, in queste situazioni, occorre fare riferimento ad altri indicatori come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l’assenza in capo al lavoratore del rischio e di una seppur minima struttura imprenditoriale, che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria.

La valutazione di tali indicatori, tuttavia, è connotata da un elevato grado di discrezionalità, per cui appare difficile prevedere in anticipo il contenuto della decisione del giudice.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, in particolare, i giudici hanno confermato la decisione d’appello che, contrariamente alla sentenza di primo grado, aveva ritenuto provata la subordinazione solo perché:

  • i contratti di lavoro autonomo indicavano in maniera del tutto generica l’oggetto della prestazione del collaboratore;
  • nonostante l’espressa qualificazione del rapporto quale autonomo, dai contratti non erano desumibili elementi contrastanti con la sussistenza di subordinazione, che, anzi, trovava un elemento di conferma nella pattuizione di un compenso commisurato alle giornate lavorative;
  • il collaboratore si avvaleva di strumenti di lavoro forniti dalla società, con conseguente insussistenza di rischio economico del prestatore;
  • la società esercitava un controllo sull’entità oraria e giornaliera della prestazione lavorativa del collaboratore;
  • il lavoratore operava, di norma, sulla base delle richieste di intervento ricevute da parte degli uffici della società, il che non esclude la subordinazione, rinvenibile nella propria disponibilità ad assicurare l’assistenza sistematica nell’arco temporale richiesto.

In ogni caso, gli indicatori in questione costituiscono meri indizi, idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione solo a condizione che essi siano fatti oggetto di una valutazione complessiva e globale (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24154/2019).

Non è, quindi, sufficiente uno solo di tali “indizi”, né peraltro gli stessi sono idonei ai fini dell’accertamento della subordinazione quando l’autonomia risulti provata sulla base di un esame del concreto svolgimento del rapporto di lavoro, come nel caso in cui sia dimostrato che il lavoratore può autodeterminare, seppur nei limiti del coordinamento, l’organizzazione della propria attività, soprattutto con riferimento all’orario delle prestazioni.

Infine vale la pena di segnalare che, fatte salve le collaborazioni con esercenti le professioni ordinistiche (medici, infermieri, fisioterapisti, etc.) e quelle regolamentate da specifici accordi nazionali (come nel caso della ricerca in sanità), allo stato attuale, il lavoratore potrebbe ottenere l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato anche senza dimostrare la sussistenza della etero-direzione, quando riesca a provare, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015, che il rapporto si sia concretato “in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente” (cosiddetta Co.Co.Org.).