9 Agosto 2013
Con la sentenza del 2 luglio 2013 n. 16507, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di dimissioni tacite quale conseguenza di disposizioni di contratti collettivi che prevedono la risoluzione anticipata del rapporto in caso di mancato rientro del lavoratore al termine del periodo di aspettativa.
In merito, si rileva che nell’attuale panorama giurisprudenziale, sussistono due distinti orientamenti: uno secondo cui le parti, anche mediante clausole di accordi collettivi, possono prevedere che da determinati comportamenti del dipendente – quali, a titolo esemplificativo, il rifiuto del trasferimento o l’assenza prolungata e non giustificata oltre un certo numero di giorni (Cass. 10 giugno 1998, n. 5776) – conseguano automaticamente le dimissioni (c.d. per fatti concludenti); l’altro, invece, in base al quale la sussistenza di tali comportamenti non assume rilievo oggettivo in sè in quanto sarà necessario accertare la reale volontà del lavoratore.
Con la recentissima sentenza sopra citata la Suprema Corte è ritornata sulla questione ritenendo di dover dare continuità a tale ultimo orientamento.
In buona sostanza i giudici di legittimità – nel censurare la clausola contrattuale secondo la quale il lavoratore che al termine del periodo di aspettativa non riprende servizio senza giustificato motivo è da considersi dimissionario – hanno precisato che è impossibile per le parti, individuali o collettive, assegnare a determinati comportamenti il significato e l’efficacia dell’atto unilaterale di recesso prescindendo, quindi, dall’effettiva intenzione di risolvere il rapporto.
In altre parole non è consentito attribuire a determinati comportamenti del lavoratore il valore ed il significato negoziale di manifestazione implicita o per facta concludentia della volontà di dimettersi, senza ammettere così la possibilità di prova contraria.
Peraltro, nell’avallare l’orientamento anzidetto, la Suprema Corte si è spinta ancora oltre distinguendo in maniera netta tra dimissioni per fatti concludenti ed assenza ingiustificata protratta oltre un certo termine e chiarendo che l’assenza ingiustificata, quale causa di risoluzione del rapporto di lavoro, può essere prevista – dalla contrattazione collettiva o individuale – solo come sanzione disciplinare, necessariamente preceduta, pertanto, dalle garanzie procedimentali dell’art. 7, l. n. 300/70.