11 Maggio 2017
In data 10 maggio 2017, il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva il disegno di legge n. 2233-B, recante “misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
In estrema sintesi, il testo – che sarà oggetto di prossimi approfondimenti (anche a seguito dei necessari chiarimenti amministrativi) – al fine di incentivare l’attuazione di misure di conciliazione vita-lavoro, introduce la nozione di lavoro agile, inteso come modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro, con i possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Quanto al luogo di lavoro, inoltre, il lavoro agile è caratterizzato dalla circostanza che la prestazione viene eseguita in parte all’interno dei locali aziendali ed in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore, nonché in generale la sicurezza e la salute del dipendente, mentre al lavoratore è attribuito un mero obbligo di cooperare nell’attuazione delle misure predisposte per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione.
Le concrete modalità di regolamentazione del rapporto, sono in larga parte demandate al contratto di lavoro che, in particolare, deve definire “l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
Il provvedimento normativo, inoltre, affronta anche il tema dei rapporti di lavoro autonomo e, in particolare, quello delle collaborazioni coordinate e continuative, incidendo indirettamente sulle presunzioni di subordinazione introdotte dal Jobs Act (art. 2 d.lgs. 81/2015).
Sotto tale ultimo profilo, in particolare, il testo legislativo precisa che “la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”.
Tale precisazione contribuisce a fare chiarezza sul concetto di “etero-organizzazione”, enucleata dalla dottrina a seguito del Jobs Act, il quale, come noto, ha previsto l’applicazione delle disposizioni in materia di lavoro subordinato alle collaborazioni autonome continuative, esclusivamente personali, organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi ed ai luoghi di lavoro.
Ed infatti, la novella disposizione, facendo espressamente salve le misure di coordinamento concordate tra le parti, avvalora la tesi (da sempre sostenuta dalla migliore dottrina) secondo cui si ha etero – organizzazione (e, quindi, si applica la disciplina del lavoro subordinato, salve le eccezioni previste dalla legge) solamente quando la prestazione del lavoratore sia organizzata unilateralmente dal committente, e non quando le concrete modalità di svolgimento del lavoro siano concordate tra le parti all’inizio o nel corso del rapporto.
La legge, infine, con riferimento a tutti i rapporti di lavoro autonomo (e non solo, quindi, alle collaborazioni coordinate e continuative), prevede particolari misure di protezione del prestatore d’opera, tra cui meritano di essere qui menzionate quelle relative alle cd. “clausole abusive” ed alla tutela in caso di malattia o maternità.
Sotto il primo profilo, infatti, è previsto che debbano essere considerate “abusive”, e cioè prive di effetto e foriere di conseguenze risarcitorie, le clausole che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto o, nel caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, di recedere da esso senza congruo preavviso nonché le clausole mediante le quali le parti concordano termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data del ricevimento da parte del committente della fattura o della richiesta di pagamento. Si considera inoltre abusivo il rifiuto del committente di stipulare il contratto in forma scritta.
Per ciò che attiene il secondo aspetto, inoltre, il DDL approvato prevede che “la gravidanza, la malattia e l’infortunio dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente non comportano l’estinzione del rapporto di lavoro, la cui esecuzione, su richiesta del lavoratore, rimane sospesa, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente”.
Appare evidente come una simile previsione possa presentare elevati margini di incertezza interpretativa, soprattutto laddove consente il recesso del committente nel caso in cui venga meno il suo interesse.
In ipotesi di maternità, previo consenso del committente, è inoltre prevista la possibilità di sostituzione delle lavoratrici autonome, con un richiamo espresso all’analoga disposizione già esistente per le lavoratrici dipendenti.
In caso di malattia o infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa per oltre sessanta giorni, il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi è sospeso per l’intera durata della malattia o dell’infortunio fino ad un massimo di due anni, decorsi i quali il lavoratore è tenuto a versare i contributi e i premi maturati durante il periodo di sospensione in un numero di rate mensili pari a tre volte i mesi di sospensione.